IL 7 LUGLIO AL SONIC PARK DI BOLOGNA ARRIVANO GLI IRON MAIDEN PER IL "LEGACY OF THE BEAST TOUR". LA STELLARE  BAND FONDATA NEL 1975 SUONERÀ BRANI DEL SUO PASSATO E DEL SUO PRESENTE, CANZONI CHE CONFERMANO LA “FERROSA FANCIULLA” COME REGINA DI UN HEAVY METAL SEMPRE FLUIDO E SPERIMENTALE LA CUI INFLUENZA NON È SOLTANTO MUSICALE MA SCONFINA DA DECENNI IN MOLTI ALTRI CAMPI, DALLA LETTERATURA AI FUMETTI - IL RACCONTO DI FEDERICO ERCOLE

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IRON MAIDEN LEGACY OF THE BEAST TOUR IRON MAIDEN LEGACY OF THE BEAST TOUR

Federico Ercole per Dagospia

 

“Tutto quello che è rimasto di ciò che eravamo, è ciò che siamo diventati”, canta Bruce Dickinson, spadaccino, pilota di aerei e voce esemplare (anche quando ha latitato, almeno come ricordo e anelito) degli Iron Maiden. La band leggendaria torna a suonare la sua “bestiale” eredità dal vivo nel Legacy of the Beast Tour, una serie di date rimandate durante i due anni di pandemia e ora possibili, così che il 7 di luglio i sei musicisti che compongono la “ferrosa fanciulla” giungeranno anche in Italia, al Sonic Park di Bologna.

 

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Gli Iron Maiden guardano quindi al loro travolgente passato nella coincidenza sublime con il loro presente, ormai grandi (non)vecchi di un un rock metallico e pesante che si vorrebbe obsoleto ma non muore mai, “heavy metal” purissimo persino nella sua fluidità tra i generi, una musica che mantiene tutta la giovanile potenza delle origini risultando ancora nuova e rivoluzionaria, balsamica e catartica con la furia del suo volume, le distorsioni, l’epica, gli sconfinamenti nella letteratura e nel cinema e la mostruosità, l’orribile e incomparabile bellezza horror dell’iconico Eddie, la marcescente stella delle copertine di ogni disco.

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E’ proprio Eddie, sia egli un assassino, un folle incatenato, un faraone, il messaggero del diavolo, l’ombra nelle tenebre o samurai, che attira per primo un pubblico nuovo e curioso, soprattutto giovanissimo, ammiccando dalle copertine con il suo ghigno perverso; come l’affascinante e spaventosa forma di una pianta carnivora attrae gli insetti nel suo letale interno, così Eddie cattura gli ignari neofiti per  precipitarli invece in un nuovo mondo di meraviglie musicali.

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Nel Legacy of the Beast Tour non ci sarà solo il passato della band britannica, fondata  a Londra dal bassista Steve Harris nel 1975, ma qualcosa del presente,  rari brani tratti dal loro ultimo, struggente e meraviglioso Senjutsu, uscito durante il settembre del 2021, perché appunto : “tutto quello che è rimasto di ciò che eravamo, è ciò che siamo diventati”.

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COME GUERRE STELLARI, GOLDRAKE,  D&D E SPACE INVADERS

Sebbene Iron Maiden e Killers siano due album straordinari e magnifica sia la voce più punk che metal di Paul di’Anno, fu nel 1982 con The Number of the Beast e l’avvento di Bruce Dickinson che la band assunse una dimensione extra-musicale, divenendo un “mito” che sconvolse e formò le nuove generazioni in maniera non differente da altri e diversi fenomeni. L’influenza dei Maiden nell’immaginario fu potente come prima quella di Guerre Stellari, degli “anime” soprattutto di Go Nagai quindi Goldrake e Mazinga, del fantasy attuato di Dungeons & Dragons, dei primi videogiochi.

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Nei suoni diabolici e apocalittici, eppure così epici di The Number of the Beast, una generazione trovò un riscatto, una via di fuga dal presente musicale e non, un luogo di unione inclusivo, una nuova leggenda che emancipava e rendeva più forti grazie alla passione che alimenta, al potere salvifico e senza confini della passione.

 

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Poi vennero le conferme-evoluzioni di Piece of Mind del 1983, con la sua follia furiosa e le canzoni dedicate a Dune di Frank Herbert, a Dove Osano le Aquile, al mito di Icaro ; le alchimie egiziane di Powerslave nel 1984 dove anche i versi tragici e marinareschi di Samuel Taylor Coleridge divengono materia di una lunga ballata; il futuro-western di Somewhere in Time dove convivono brani ispirati ai romanzi di Robert Heinlein e Alan Sillitoe, a Il Paradiso può Attendere con Warren Beatty e ad Alessandro Magno; il progressivo e travolgente Seventh Son of the Seventh Son nel 1988 dopo il quale si allontana, solo per qualche anno, il chitarrista Adrian Smith; il meno ispirato e più “tradizionale” No Prayer for the Dying nel 1990; nel 1992 il di nuovo bellissimo Fear of the Dark.

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Fu dopo quest’ultimo che Bruce Dickinson (da ascoltare, amare e conoscere sono anche i suoi album da solista) lasciò gli Iron Maiden  e il  ruolo di “frontman” fu affidato a Blaze Bayley che cantò per la band in due album: The X Factor nel 1995 e Virtual XI nel 1998. Si tratta di album meno amati dai fan, ma ingiustamente, e comunque vieppiù riscoperti; certo è che ascoltare canzoni come The Clansman (da Braveheart) e Sign of the Cross (su Il Nome della Rosa) oggi ricantate da Bruce Dickinson fa davvero un effetto positivo, senza nulla togliere all’ottimo Bayley.   

 

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Nel 2000 tornano nei Maiden sia Bruce Dickinson, Adrian Smith e Derek Riggs alla copertina con Brave New World, un album che eredita molto dall’era Bayley dimostrandone quindi la validità, ci sono pezzi ispirati a Aldous Huxley (il brano del titolo) e anche C.S. Lewis. Dopo tre anni arriva lo sperimentale Dance of Death, e ancora tre anni passano per il sempre “mortale” A Matter of Life and Death, album sempre più lunghi e complessi nella forma delle loro canzoni. L’uscita delle opere degli Iron Maiden comincia a rarefarsi progressivamente:  Final Frontier nel 2010, The Book of Souls nel 2015 e infine Senjutsu nel 2021, album titanici per contenuti, profondità, volontà di trasgredire alle regole del metal  e dilatazione.

 

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Insomma diciassette album in ventun anni, senza considerare le registrazioni “live”. Al concerto di Bologna del 7 luglio (sono disponibili ancora pochi biglietti), un compendio di tutta questa storia eccezionale, con alcune inevitabili lacune.  Si conosce già la scaletta, ma lasciamo ale lettore la sorpresa o la volontà di conoscerla a priori.

 

IL MUCCHIO SELVAGGIO

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Ci saranno i sei membri attuali e ormai storicizzati degli Iron Maiden sul palco del Sonic Park bolognese più, è ovvio, un mostruoso e nipponico Eddie: Bruce Dickinson (che oltre a dare di spada e pilotare aerei anche di linea negli anni ha sconfitto un cancro alla gola), i tre chitarristi Dave Murray, Adrian Smith e Janick Gers, il bassista Steve Harris, il batterista Nicko McBrain. I membri degli Iron Maiden hanno tutti tra i sessanta e i settanta anni, ma non è percepibile nessuna stanchezza o l’ombra di un’anzianità che non sia una superiore saggezza, nelle loro prestazioni dal vivo.

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Essi sono e permangono un mucchio selvaggio, gloriosi cavalieri del rock in un tramonto che si eterna, alfieri di un Heavy Metal classico che sta tornando ad essere amato e recuperato anche tra i giovani, come dimostra il successo delle tournée di altri Kings of Metal delle origini come i Judas Priest, i Metallica, i Blind Guardian...  il mondo già assordato dagli orrori di crisi economiche, pandemie e guerre ha bisogno di nuovo del metal, per coprire i rumori più brutti con la potenza unica del suo volume, e reagire al presente, oppure curare così le orecchie e il cuore.

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