AGNES VARDA INCONTRA NANNI MORETTI PER L'ANTEPRIMA DI VISAGES VILLAGES - MARZO 2018 - VIDEO DI VERONICA DEL SOLDA'
1 - E' MORTA LA REGISTA AGNES VARDA
Da www.ansa.it
E' morta all'età di 90 anni la regista belga Agnes Varda, decana del cinema francese e bandiera della Nouvelle Vague. Lo ha annunciato la famiglia ai media a Parigi dove viveva da sempre. In un ambiente molto maschile la Varda è stata sempre in prima fila sul tema femminile e anche all'ultimo Cannes 2018, quello della marcia del #metoo, avanti a tutte c'era lei, combattiva e indomabile, con la sua energia e i suoi capelli bicolori.
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Era nata a Ixelles, un comune alle porte di Bruxelles, nel 1928. Tantissimi i suoi film, tra i più noti Senza tetto né legge con una giovane Sandrine Bonnaire, Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia. È stata la prima donna a ricevere l'Oscar alla carriera ed essere candidata all'Academy Award nello stesso anno per il suo doc Visages Villages., mentre il festival di Cannes di cui era appassionata frequentatrice le ha conferito la Palma d'oro alla carriera nel 2015. Infaticabile, a Berlino ha presentato il suo ultimo film, quasi un testamento: Varda par Agnès - Causerie.
2 – AGNES VARDA MORTA, ADDIO A UN GENIALE, ORIGINALE ANARCHICO FOLLETTO DEL CINEMA MONDIALE
Davide Turrini per www.ilfattoquotidiano.it
Adieu Agnes Varda. Geniale, originale, anarchico folletto del cinema mondiale. Pioniera della Nouvelle Vague, donna determinata, irrefrenabile, libera. La regista di origine belga, Oscar alla carriera nel 2018, moglie innamorata magicamente in eterno del marito regista Jacques Demy, ci ha lasciati nelle notte del 29 marzo, all’età di 90 anni.
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Esordio fulminante per un cortometraggio en plein air nel 1954 – La pointe courte – con Alain Resnais al montaggio e il faccione di Philippe Noiret in primo piano, poi il lungo del riconoscimento nazionale ed europeo, Cleo dalle 5 alle 9 nel 1962. Ancora: un gioiello di finzione pop quasi documentaria ne Le Bonheur (1965) che vince a Berlino; la consacrazione con Senza tetto né legge (1985) Leone d’oro a Venezia; e infine in mezzo ad una decina di lungometraggi tanto, tantissimo cinema documentario ipnotizzante e sincero.
Sembrano poche cose, invece in ogni film della Varda, in ogni sequenza e fotogramma, la cineasta ha saputo mostrare delicatezza e ambiguità del dubbio esistenziale, il palpitare silenzioso del cuore, l’osservazione gentile di anime apparentemente dure e teneramente fragili.
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Al centro del racconto, spesso e volentieri, una donna. Soprattutto nei lavori della maturità. Anche se già l’introspezione individuale del protagonista del suo primo cortometraggio viene scombussolato proprio dall’arrivo della moglie nel paesino natio di pescatori dove si è rifugiato ed è lei a dettare narrazione, svolte e finale con la macchina da presa che finalmente si libera da lacci e lacciuoli dell’imbalsamato “cinema di papà” commerciale.
Varda è probabilmente la prima regista della levata Nouvelle Vague (appellativo che non ha mai completamente gradito) ad uscire con uno sguardo diretto e realistico oltre i confini dei set angusti e artificiali della grande industria del cinema. Appena dopo il girovagare parigino di Antoine Doinel e di Michel/Laszlo, ecco la Cleo (Corinne Marchand) del film omonimo del ’62 camminare tra boulevard e bistrot della capitale in attesa degli esiti di un esame medico delicatissimo.
Oggi sembra tutto un dejà-vù, ma quell’ariosità formale, quell’impressione che il cinema dovesse andare in strada, percorrere, illuminare e illuminarsi di nuovi spazi e di storie comuni, inizia assieme alla Varda, in quegli anni.
Esuberante, schiva, legata in una maniera incredibile al marito Demy fin dal 1958, Varda ha poi saputo rimescolare le carte del destino con un film particolarissimo come Le Bonheur/Il verde prato dell’amore dove il fluttuare pop di colori (i girasoli, gli abiti, le vetture) investe un journal intime al maschile di tradimento impossibile e ricerca della felicità per una vera coppia nella vita che recita la parte di un postino e sua moglie nella finzione.
Discorso più tragico ma identico in Senza tetto né legge, nel rimescolare le carte del destino individuale immergendo una ragazza (Sandrine Bonnaire) vagabonda tra le strade di campagna e i suoi incontri casuali di uomini prima della tragica morte. Anche se gli anni sessanta e settanta sono il periodo della contestazione e dell’emancipazione. E Varda si esprime parallelamente con il linguaggio del documentario.
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Partecipa alla realizzazione di Lontano dal Vietnam nel 1967, il lavoro di Chris Marker, assieme a Godard, Leoluch e Joris Ivens; nel ’68 immortala le Black Panthers a Oakland in California; poi ancora intesse un’amicizia con Jim Morrison fino alla sua morte nel ’71; osserva e documenta vicini di casa nella strada parigina dove abita, ma gira anche un documentario sulle statue neoclassiche della capitale. Irriducibile, instancabile, Varda non si piega alle mode, continua ad osservare attorno a sé, poi le capita di divertirsi e scandalizzare quando con Kung-fu Master (1985) la protagonista adulta del film (Jane Birkin) si innamora di un quattordicenne e stabilisce una relazione con lui. Capolavoro assoluto, infine, in questo mare magnum di spunti, inserti, corti e lunghi, documentari improvvisati, fotografie, è Les plages d’Agnès nel 2008.
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Un documentario autobiografico totalizzante, intenso e commovente, in cui Varda gioca con i ricordi di una carriera, saltellando su una spiaggia dove le scritte della vita si cancellano con un’onda del mare, dove siede spiritosa sulla classica sedia da regista, dove gioca con gli specchi addolorati di un’anima bella che ha incontrato il cinema e senza troppo clamore l’ha rivoluzionato.
3 – VARDA AGNÈS IXELLES (BELGIO) 30 MAGGIO 1928.
Da www.cinquantamila.it – la storia raccontata da Giorgio dell’Arti
Regista • «[...] spirito libero della nouvelle vague [...] Varda e Démy sono stati coppia emblematica di un’epoca in cui l’indipendenza e il femminismo non si erano accora affermati e lei era una delle registe che indicava la strada sviluppando la sua creatività in maniera del tutto autonoma: negli anni ”60 si poteva contare su ben poche cineaste e la Varda è stata uno dei simboli di questa nuova frontiera raggiunta.
Il suo primo film ebbe un grande successo (Cléo dalle cinque alle sette, 62), ma già come fotografa aveva raggiunto la fama per le foto fatte a Gérard Philipe e aveva già girato il mondo raggiungendo le più segrete province della Cina. [...] ”Non so neanch’io come sono diventata regista, non andavo neanche al cinema.
A 25 anni avrò visto solo una decina di film. Andavo al teatro, visitavo i museo. Il primo film l’ho fatto con l’entusiasmo e il coraggio dell’ignoranza. Se avessi visto Visconti, Buñuel non avrei mai potuto cominciare a fare cinema. Ho cominciato a imparare da un film all’altro, che non significa glaner, ma récolter, io non raccoglievo quello che gli altri avevano buttato via.
Ho piuttosto ”raccolto’, la comprensione di chi ha visto i film, molti premi (che io e Jacquot tenevamo in una vetrina). Il mio è un cinema fatto per condividere le emozioni, le scoperte e le riflessioni”. [...] i suoi grandi successi come Senza Tetto né legge [...] quel capolavoro sul corpo d’artista che racconta il suo compagno Jacques Démy (Jacquot de Nantes), in tutto quindici film e svariati documentari [...]
”Quando faccio un film è tutto previsto e scritto come un’opera dell’immaginazione, quando faccio un documentario sei tu al suo servizio e la tua posizione di cineasta è di essere modesta. Ho sempre alternato fiction e documentario, è una scuola di modestia. [...]”» (Silvana Silvestri, ”il manifesto” 26/10/2005).
«’Qualcuno ha detto che sono un po’ rondine un po’ dinosauro. Rondine perché molti anni fa annunciai la primavera della Nouvelle vague, dinosauro perché sono ancora qua”. [...] autrice di Clèo dalle 5 alle 7 e di Senza tetto nè legge incarna un pezzo importante della storia del cinema francese [...] ”Sono completamente autodidatta. Ho incominciato come fotografa e all’inizio non ero neppure una cinefila, avrò visto al massimo sette film.
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Sono diventata cinefila facendolo, il cinema [...] ero la prima donna-autore. Il mio mediometraggio La pointe courte, del ”54, anticipò di cinque anni la Nouvelle vague. Dopo, ero tutta sola in quella grande ondata, ero l’alibi, l’errore. Ma me ne fregavo, facevo i miei film e basta. Dopo ci sono state le registe della rivolta femminista. stato un fuoco di paglia, non mi sono lasciata intruppare. Però mi sono battuta perché le donne avessero ruoli tecnici e creativi come operatrici, scenografe. Per cui mi sono fatta la fama di femminista ”emmerdeuse’” [...]» (Manuela Grassi, ”Panorama” 4/5/2000).
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