Marco Giusti per Dagospia
Se ne va anche Venantino Venantini, 88 anni, attore, ha girato qualcosa come oltre 180 film, ma anche personaggio mitico del cinema italiano e francese. Amico del cuore di registi come Dino Risi, con lui ha girato La moglie del prete, Primo amore, Sesso e volentieri, Le ragazze di Miss Italia, Ettore Scola, lo ricordiamo in La terrazza, La cena, ma anche di Claude Lelouch e Georges Lautner, non a caso era uno dei Tonton flinguers dell’omonimo film assieme a Lino Ventura, Bernard Blier, Francis Blanch. In Francia, dove era chiamato vezzosamente V.V. era ancora una star.
Amico di Jean-Paul Belmondo, Mireille Darc, Alain Delon e di tutti i grandi attori degli anni ’60 e ’70, proprio in questi ultimi anni aveva lavorato più in Francia che da noi. Gli avevano dedicato recentemente documentari, omaggi, corti di ogni tipo. E questa cosa non gli piaceva, visto che era italiano, nato a Fabriano nel 1930. Più pittore che attore. Il cinema lo fece un po’ per caso, erano soldi facili, era giovane e bello.
Lo vediamo in qualche particina, Un giorno in pretura, Ben-Hur, prima di avere un vero e proprio ruolo in Odissea nuda di Franco Rossi con Enrico Maria Salerno. Quel ruolo, in pratica, se lo portò dietro un po’ per sempre. Quello dell’avventuriero giramondo, simpatico, bello, fanfarone, pronto a lasciar tutto per una donna. Raccontava che a Tahiti ci rimase molto più del previsto, come Marlon Brando, circondato di donne e di vita facile.
Lo troviamo poi in Pastasciutta nel deserto di Carlo Ludovico Bragaglia, ma è Les tonton flinguers di Georges Lautner nel 1963 che gli aprirà per sempre le porte del cinema francese. Lo troviamo così in Colpo grosso ma non troppo di Gérard Oury con Bourvil e Louis De Funes, Galia di Lautner con Mireille Darc, Le grand restaurant, La grande sauterelle, sempre con Mireille Darc. In Italia già all’epoca ebbe minor fortuna, Le conseguenze, La celestina p.r. di Carlo Lizzani, un piccolo ruolo in Il tormento e l’estasi di Carol Reed con un Rex Harrison sempre sbronzo.
Terence Young lo provinò per James Bond, raccontava, ma non lo prese. Si vendicò con qualche 007 all’italiana. Ma ebbe un buon ruolo da coprotagonista assieme a Enrico Maria Salerno in Bandidos, il primo e unico spaghetti western diretto da Massimo Dallamano. Non funzionava nel west, meglio nei film di guerra, come in Lo sbarco di Anzio di Edward Dmytryk, dove poteva benissimo essere preso per un soldato americano. Meglio ancora nella commedia, La matriarca di Pasquale Festa Campanile o La moglie del prete, dove incontra la prima volta Dino Risi.
Passa un po’ tutti i generi italiani, sempre con scarsa convinzione, il poliziesco, La polizia è al servizio del cittadino?, il cannibal con Cannibal ferox di Umberto Lenzi, l’esotico erotico, Amore libero, Emanuelle nera di Bitto Albertini, Emanuelle 2 di Francis Giacobetti, La via della prostituzione, di solito girati assieme ai suoi amici Gabriele Tinti e Angelo Infanti, assieme a donne bellissime come Laura Gemser, che si mise prima con lui e poi con Tinti. Passa anche un momento americano nella factory di Andy Warhol e gira in America il curioso, introvabile Round Trip di Pierre Dominique Gaisseau con l’artista Larry Rivers.
Ma è grazie ai francesi che riprende vita, eccolo ne Il vizietto di Edouard Molinaro, Flic ou voyou di Georges Lautner. Si incontra con Franco Califano, quasi il suo doppio, in Gardenia di Domenico Paolella. E prende proprio il suo ruolo nell’unico film di Roberto D’Agostino, Mutande pazze, dove ha un grandioso ruolo di padre coatto della protagonista. Dino Risi lo vuole per il suo ultimo film per il cinema, Giovani ma belli, sfortunato remake del suo celebre Poveri ma belli. E lo rivuole nel curioso Le ragazze di Miss Italia, massacrato nella versione televisiva.
“Qui in Italia mi propongono ormai solo ruoli di moribondo o di morto”, mi diceva ridendo negli ultimi anni, “ma il morto lo faccio benissimo”. Era così. Ma in Francia lo troviamo in tanti film di buon livello, Un + Une di Claude Lelouch dove è il padre italiano di Jean Dujardin, Marseill di Kad Merad, Vive la crise di Jean-François Davy. Poco fa a Parigi gli avevano fatto una grande festa. Eterno adolescente, Venantino se ne va col sorriso sulle labbra che ha sempre avuto, come se la vita stessa fosse stata uno scherzo.
Ormai ottantenne, quando andava a mangiare la sera assieme a Dino Risi, poco più grande di lui, adorava stupirlo. E alla domanda, detta tra un sorso di minestra e l’altro, “ma tu, Venantino, ancora scopi?”, rispondeva con un poco convinto sì. E allora Dino gli chiedeva curioso: “ma quante volte a settimana, Venantino?”. E lui, con il suo inconfondibile e irresistibile raddoppio delle consonanti gli faceva: “d-d-du’ volte alla settimana”. Impassibile, Dino, dopo aver mandato giù un altro sorso di minestra concludeva con un lapidario “ma come cazzo fai”. Era il cinema italiano.
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