Quirino Conti per Dagospia
Fu il silenzio il ventre dal quale nacque la Moda. E in un mistico silenzio veniva presentata negli atelier dei Beati Fondatori delle Origini. Senza altro attorno che il brusio della meraviglia, prima che musica e parole divenissero il suo più naturale alveo.
E in quel fremente silenzio, voci espertissime – mai troppo acerbe – pronunciavano con accenti gravi i nomi di ogni uscita; senza alcun pudore e con scarsa ironia, intonati al decadentismo più pervertito (“Notte sul Bosforo”, “Capriccio Zigano”, “Palpito Selvaggio” ecc. neppure i più irriferibili). Poi venne la musica, ritenuta però greve e popolaresca dagli eletti parigini custodi della tradizione.
harry styles e alessandro michele di gucci versione gender fluid
In effetti, ancora nel più inviolabile silenzio vivevano gli autori (couturier, sarti o disegnatori, come venivano indistintamente chiamati fino al termine degli anni ’60). E mai si udì ufficialmente la voce del divo Balenciaga; mentre quella gracchiante di Chanel era regolarmente “doppiata” dai letterati più sofisticati.
rula jebreal mariagrazia chiuri
Poi venne il fracasso, e infine il chiacchiericcio universale. Allora ognuno volle dire la sua, scegliendosi il proprio loquace ventriloquo tra i giornalisti più versatili: giungendo a selezionare (come “doppiatori”, appunto) autentiche firme della migliore scrittura di costume. Fino a oggi: con spericolati “merli indiani” (gli attuali direttori creativi) incapaci di tacere e smaniosi di pronunciarsi su tutto.
Esemplare il teorico del post-post-post modern stilistico, Alessandro Michele. Convinto che, senza le sue ermeneutiche note, Gucci non sarebbe mai divenuta quello che è. Il suo è un procedere per ellissi, così che meno si capisce, più si giova allo scopo. “Mi piace ascoltarmi quando parlo. È uno dei miei più grandi piaceri. Faccio spesso lunghe conversazioni con me stesso, e sono così intelligente che certe volte non capisco neppure una parola di ciò che dico”: questo, un aforisma che potrebbe dividere con Oscar Wilde.
Dunque, stile commisto con verbosità transustanziate (Indimenticabili le sue dissertazioni su “quel che non è più e non è ancora” a proposito di una collezione transeunte e pressoché ermafrodita). Pregio e vizio, questo, ereditato dalla tarda decadenza romana.
In parte desunto dalla retorica avvocatizia, con sfumature del genere tuonante: “E non mi si venga a dire!”, come nel cinema di Steno. Prima di sciorinare allitterazioni, catecrasi, paragrammi, epanadiplosi, anafore, anticlimax, poliptoti ecc., e tutto questo armamentario proveniente da un fosco meato, cinto da abbondantissima barba e ricadente crine nero. Torvo come il suono minaccioso di una tuba.
Altra irrefrenabile, pugnace e gladiatoria logorrea, le tremende invettive della ormai gallofila Maria Grazia Chiuri per Dior. Già espertissima sgomitante da Valentino sulle flebili parole del conciso Pierpaolo Piccioli. Solitaria omelista, nulla può arginare le sue impennate poetico-pauperistiche per un marchio a vocazione extralusso.
La nostra Corday davvero non conosce limite: un po’ erinni, un po’ valchiria, un po’ amazzone e un po’ Anna Achmatova. Si vede unicamente come vendicatrice del più ignominioso femminino e di qualsiasi trasparenza non serva alla battaglia; nel tremore del terrorizzato Arnault e di tutto l’LVMH mascolino, minacciati a ogni ora e in casa propria di cruentissime castrazioni. Tra uno svolazzo e l’altro.
Differente ma similmente ossessivo, il caso declamatorio di Fra Brunello Cucinelli da Solomeo. Qui si contempla una versione allocutoria di genere monastico, da cellerario, se non da abate. Il carattere di tale sfrenatezza predicatoria non può però riferirsi tanto a contaminazioni esclusivamente francescane (Bonavenura da Bagnoregio), quanto piuttosto a influenze cenobitico-benedettine (Anselmo di Canterbury), quindi tardo-antiche.
L’eccelso produttore di cachemire vive dunque un’esperienza traslata. Vedendosi unicamente in ampie cocolle della medesima, preziosa materia, magari con cranio rasato e aureolato e il celebre “Silentium” impresso sopra ogni ingresso della sua fabbrica conventuale.
Dunque, ognuno curvo sul suo telaio in religioso silenzio, così da ascoltare attraverso mega-amplificatori i quaresimali di Fra Brunello: con sfumature cassinensi, ma pure cistercensi. Un sogno nel cassetto? Castità per ogni cliente beatificato dal suo cachemire e per il suo devotissimo personale, Angelus a mezzodì e Rosario alle cinque.
Detto questo, però, ah che nostalgia di quando – tutti finalmente ammutoliti – alla stampa parlava solo Giancarlo Giammetti per Valentino! Con citazioni da Picabia e Apollinaire. Intanto che il suo polilingue stilista, a Gstaad, intratteneva il proprio regale circolo di ospiti sulla lucentezza della porcellana “famiglia bianca” a proposito dei decori del prossimo pranzo di Natale.