Estratto da "Questa sera canto io" di Adriano Aragozzini
Morandi slinguazzatore folle
In quel tour (in Giappone, ndr) visitammo ventisei città. Ogni mattina, per raggiungere le località degli spettacoli, dovevamo prendere un aereo o un treno superveloce, di quelli che andavano a 300 all'ora e in Europa ancora non esistevano. A Tokyo, Osaka e nelle altre città principali alloggiavamo in grandi alberghi, ma nella maggior parte delle piccole città eravamo ospiti dei ryokan, i tipici alberghi giapponesi. Vedere artisti e accompagnatori entrare in questi alberghi era un vero spettacolo. La prima cosa che dovevamo fare era toglierci le scarpe e girare scalzi, e ciò scatenava l'ilarità generale, soprattutto quando qualcuno aveva i calzini sporchi o addirittura bucati.
adriano aragozzini compleanno sandra carraro
La mattina presto - spesso all'alba e dopo aver dormito solo poche ore - dovevamo andare in aeroporto o in stazione. Gianni Morandi, che era il discolo della compagnia, si avvicinava a qualcuno e gli ficcava letteralmente la lingua nell'orecchio. Erano tutti incazzati a morte, ma ogni mattina lui continuava imperterrito a colpire. Nei primi giorni mi ero salvato ma, per non subire la spiacevole sensazione di ricevere una slinguazzata di Morandi nell'orecchio, una mattina presi Gianni da parte e gli dissi: "Ti prego: a me non farlo, perché io mi incazzo come una bestia."
Devo dire che, per qualche giorno, Gianni mi risparmio; poi - provocato da qualcuno dei suoi colleghi cantanti - approfittò di un mio momento di distrazione e lo fece anche a me. A velocità fulminante, ricambiai la sua lingua nell'orecchio con un violentissimo cazzotto. Da allora Gianni non mi fece più nessuno scherzo.
La morte del padre in Venezuela
Nella mia attività sono stato testimone, e in parte anche protagonista, di un evento tanto drammatico quanto incredibile, che mi è rimasto scolpito nella mente e sono convinto che ci rimarrà per sempre. Avevo conosciuto Gianni Morandi nel 1964, durante la famosa tournée in Giappone di cui ho già scritto. Di tanto in tanto, avevo continuato a scritturarlo per programmi televisivi all'estero, soprattutto in Spagna. Un ragazzo esuberante, comunicativo, sfacciato, simpatico, ma con un carattere fuori dal comune.
adriano aragozzini patty pravo
Il suo comportamento era strano. Faceva il discolo forse per ridere, forse per attirare l'attenzione, forse per rompere le palle. Comunque il mio rapporto con lui era buono e, quando gli proposi un programma televisivo in Venezuela e un concerto all'Hilton di Caracas, accettò immediatamente. Inizialmente sarebbe dovuto venire con la moglie, Laura Efrikian, ma all'ultimo momento Portò con sé suo padre Renato. Sull'aereo per Caracas, rimasi colpito del rapporto tra i due: giocavano sempre a carte e parlavano con un accento bolognese che quasi non riuscivo a capire cosa si dicessero. Nelle lunghe ore di viaggio, ci furono anche discussioni di politica.
adirano aragozzini e gina lollobrigida
Il padre era un comunista arrabbiato, il figlio un comunista moderato e io, con le mie idee totalmente opposte alle loro, mi divertivo a stuzzicarli. L'atmosfera, comunque, era piacevole e tranquilla. In Venezuela, alloggiavamo al Caracas Hilton, dov'era in programma il concerto di Gianni. Presentammo il papà di Gianni a Emore - anch'egli bolognese - proprietario di un ristorante che portava il suo nome, che si trovava a Sabana Grande. Gianni preferì che suo papà si fermasse da Emore, sia per pranzare sia per trascorrere un po' del suo tempo libero insieme a un compaesano, invece che annoiarsi alle prove dello spettacolo.
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Effettuata la registrazione del programma televisivo, Gianni si preparò per presentare il suo show. Eravamo tutti impegnati con le prove e sapevamo che il papà di Gianni - che, naturalmente, alloggiava nel nostro stesso hotel - ci avrebbe poi raggiunti per vedere lo spettacolo del figlio. Enzo Morera e io avevamo riservato alcuni posti per lui, Emore e altri amici. Quanto accadde mi venne riferito da Emore il giorno seguente. Il papà di Gianni nel pomeriggio si comportava in modo strano e quando Emore gli disse che non sarebbe andato al concerto poiché doveva partecipare al matrimonio di un amico programmato da mesi, Renato si offese e lasciò il ristorante. La sera del concerto il papà di Gianni - a quanto riferirono a Morera e a me gli agenti della security dell'albergo - si posizionò davanti all'ingresso dell'Hilton, per domandare alle persone che entravano se andavano a vedere il concerto Gianni Morandi.
Chi gli rispondeva di sì, veniva lasciato passare tranquillamente; chi rispondeva di no, invece, veniva apostrofato in malo modo. Gli agenti della sicurezza dell'Hilton lo condussero nell'ufficio della security dove il papà di Gianni era molto agitato. Gli agenti avvertirono della situazione Enzo Morera che, insieme a me, organizzava il concerto. Fui io a suggerire di portarlo nella stanza di Gianni, il quale, ovviamente, non venne avvisato di quanto stava accadendo, dal momento che si trovava sul palcoscenico a cantare. Gli agenti della sicurezza restarono con il papà dell'artista fino a quando il concerto tini e Morera avvisò Gianni che si precipitò nella sua stanza. Alla vista del figlio, Renato si calmò e, qualche minuto dopo, su richiesta di Gianni, gli agenti della sicurezza se ne andarono. La calma, però, era solo apparente.
Renato, infatti, continuava ad agitarsi. Io cercavo di calmarlo e lui mi tirò un orologio che schivai e - incredibile ma vero - si conficcò nel muro alle mie spalle: immaginate la forza che poteva avere quell'uomo. Gianni cercava di calmare il padre, con grande difficoltà. Morera voleva avvisare di nuovo la sicurezza, ma si decise a chiamare un medico. Finalmente il dottore arrivò e, non senza grandi difficoltà, riuscì a praticare un iniezione a Renato che si calmò e, pochi minuti dopo, si addormentò.
Il medico disse che il papà di Gianni doveva essere ricoverato. Gianni era d'accordo. L'ambulanza arrivò e Renato venne trasferito in clinica. Il giorno seguente Gianni mi chiese se potevo rimanere in città: lui doveva rientrare in Italia per delle registrazioni importanti. Confermai la mia presenza a Caracas per altri dieci giorni, ma gli sconsigliai, nella maniera più assoluta, di partire per l'Italia e lasciare solo suo padre in quelle condizioni.
Malgrado io avessi insistito, più di una volta e con gran: de determinazione, per convincerlo a rimanere, Gianni parti lo stesso: aveva piena fiducia nel medico e anche in un'infermiera che, non so come, aveva contattato in Venezuela. Anche Morera lo pregò di rimanere: "Rimanda la registrazione. Tuo padre è tuo padre: sta male ed è ricoverato in una clinica." Non ci fu nulla da fare: Gianni partì. Esattamente due giorni dopo, all'alba, l'infermiera che si occupava di Renato mi svegliò per informarmi che era morto. Sconvolto, telefonai a Morandi in Italia e gli diedi quella devastante notizia. Rimase senza parole.
Riusciva solo a ripetere: "Ma davvero è morto?... Ma davvero è morto?" Dopo i miei ripetuti sì, smise di parlare. Passò qualche secondo e poi venne al telefono la moglie, Laura Efrikian, la quale mi fece più o meno le stesse domande di Gianni. Mi ripassò Gianni e lo esortai a tornare a Caracas. Rispose che non se la sentiva. "Tuo padre è morto," dissi, "come fai a non venire? Non è possibile? Devi venire: prendi il primo aereo per Caracas." Gianni, però, ribadi che non sarebbe venuto. Mi chiese se potessi occuparmi io delle pratiche per il rientro di suo padre in Italia e disse che mi avrebbe rimborsato tutte le spese che avessi sostenuto.
Dopo aver cercato, inutilmente, di convincerlo ancora una volta a tornare a Caracas, gli assicurai la mia disponibilità. Fece un'unica richiesta: "Adriano, se puoi, scegli una bara che mi permetta di vedere mio padre, prima della sepoltura a Bologna."
Da quel momento iniziai un'attività che, per fortuna, non ho mai più ripetuto in tutta la mia vita: diedi disposizioni di imbalsamare la salma; acquistai un vestito blu, una camicia, una cravatta, dei calzini e delle scarpe, sulla base di misure approssimative fornitemi dall'infermiera; scopri che, in tutto il Venezuela, non esisteva una bara con un cristallo che potesse permettere a Gianni di vedere suo papà, e dovetti contattare una ditta che mi garantì che, entro tre giorni, una bara con le caratteristiche richieste mi sarebbe stata inviata per via aerea da Miami.
Era esattamente come la voleva Gianni. Il coperchio era diviso in due parti: quella inferiore era fissa, quella superiore, invece, aveva delle cerniere che consentivano di aprire e chiudere la bara, mentre, sotto l'apertura, un cristallo permetteva la vista della salma. Dato che per ottenere i documenti dall'ambasciata italiana e dalle autorità venezuelane, sarebbe passata più o meno una settimana, ordinai la bara. Finalmente i documenti arrivarono e la bara venne consegnata in tempo con il nullaosta per il trasporto in Italia. Avvisai Gianni che tutto era pronto e lui disse che sarebbe venuto all'aeroporto. L'arrivo a Roma fu drammatico.
Gianni volle vedere subito il padre, ma le autorità aeroportuali lo esortarono a portare via la bara con il furgone che Gianni aveva predisposto per il trasporto della salma a Bologna. Senza nemmeno salutarmi, Gianni sali in macchina e il piccolo corteo si avviò. Appena fuori dall'aeroporto, però, fece fermare il furgone e aprire lo sportello della bara. Lo vidi che parlava e gesticolava con il padre attraverso il cristallo, Pochi minuti dopo, il furgone parti e Gianni, con due o tre persone che lo accompagnavano, lo segui su un'auto in direzione di Bologna.
Dopo una settimana mi recai a casa di Morandi, nella sua villa di Tor Lupara. Mi ringraziò e mi restituì il denaro speso. Laura Efrikian mi esortò a essere riservatissimo con la stampa e io la tranquillizzai in questo senso. Dopo tutto quello che era successo, mi immaginavo che Gianni avesse nei miei riguardi un qualche sentimento di riconoscenza. Ma non fu affatto così. Anzi. Inspiegabilmente non mi volle più vedere né parlare, per quasi vent'anni. Non prendeva in nessuna considerazione le mie proposte di lavoro e non riuscivo nemmeno a parlargli al telefono.
Addio Gioia
In quel periodo fui chiamato più volte dai giornalisti di quelle due o tre testate pseudoscandalistiche che esistevano ed esistono tutt'ora in Italia. Non si sa come, qualche giornalista aveva saputo qualcosa e voleva da me conferme per pubblicare degli articoli. Mi furono offerti anche dei soldi, ma io risposi a tutti che non era mia intenzione dire nulla: non era successo nulla e non c'era nulla da dire. Alla domanda specifica: "Perché Gianni è tornato in Italia quando il papà stava male in Venezuela?" rispondevo sempre: "Il papà stava benissimo, faceva il turista e sarebbe dovuto rientrare con me la settimana successiva."
Dopo più di vent'anni da quel tragico evento, una delle tante proposte di lavoro che feci pervenire a Gianni venne, finalmente, accettata. Si trattava del suo debutto a Broadway e di altri spettacoli negli Stati Uniti e in Canada. Quando ci vedemmo per parlarne, Gianni e io non toccammo mai l'argomento del padre, né io gli chiesi ragione del perché per vent'anni avesse evitato di parlarmi. Non partii insieme a Morandi.
Della tournée - che avevo organizzato in ogni dettaglio - si occupò mio nipote Marco De Antoniis, che lavorava con me da molto tempo. Mia moglie Gioia stava malissimo. Le rimanevano pochi giorni di vita e non potevo certo lasciarla sola per seguire i concerti di Gianni. Gioia morì tra le mie braccia a Palombara Sabina, proprio nei giorni del debutto di Morandi negli Stati Uniti. Dopo i funerali, partii e lo raggiunsi appena in tempo per la sua prima esibizione a Broadway.
Pippo Baudo Renzo Arbore e Adriano Aragozzini
Era emozionatissimo: dopo molte tournée, era la sua prima volta in un teatro di Broadway, proprio a Times Square, nel cuore di Manhattan. Il successo fu clamoroso, Gianni era uno dei pochissimi artisti che avrebbe potuto ottenere successo anche sul mercato americano. Anni prima - grazie ai miei buoni rapporti con Bob Summer della RCA americana - gli avevo offerto la possibilità di registrare un album per il mercato anglosassone, quindi non solo per gli Stati Uniti. Avrebbe dovuto trasferirsi per qualche mese a New York, imparare perfettamente la lingua e registrare le canzoni in inglese. Morandi rinunciò a un assai probabile successo sul mercato discografico più grande del mondo a causa di quella mentalità provinciale italiana che è comune a tutti gli artisti del nostro paese, i quali si accontentano del solo successo italiano.
Morandi rifiuta la canzone del premio Oscar Bacalov a Sanremo
Malgrado i trionfi a Broadway e al Madison Square Garden, Morandi proseguì sempre a ignorarmi: grandi abbracci quando ci incontravamo ma, poi, evitava accuratamente qualsiasi mia proposta di lavoro. Pochi anni fa, mentre effettuava il suo tradizionale show per RAI1, lo andai a trovare al Teatro delle Vittorie di Roma e gli proposi una tournée in America.
Per tre spettacoli, avrebbe percepito un compenso di mezzo milione di dollari, al netto delle tasse: una cifra gigantesca. Rimase colpito e mi fece mille domande. Lo tranquillizzai su tutto. Non mi confermò il contratto; disse che avrei dovuto parlare con il suo ragioniere e ci demmo appuntamento la settimana successiva nello studio televisivo. L'incontro con il ragioniere fu molto cordiale.
Venne a trovami nel mio ufficio - nella sede storica di via Sant Angela Merici a Roma - e mi disse che Gianni avrebbe avuto intenzione di effettuare i tre spettacoli negli Stati Uniti, ma ci sarebbero state delle condizioni imprescindibili: i150 per cento del compenso alla firma del contratto, il 50 per cento prima della sua partenza, le solite garanzie su impianti voci e luci, biglietti di prima classe e di turistica per lui e i suoi musicisti, un'automobile con autista e una suite in un albergo di prima categoria, oltre naturalmente l'albergo per i musicisti, i tecnici, gli accompagnatori.
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Mi presi un paio di giorni di tempo per la risposta definitiva, ma feci presente che il 100 per cento del compenso prima della partenza era una richiesta veramente difficile da ottenere. Parlai con il mio socio americano e, pur di accontentare Morandi, decidemmo che l'anticipo l'avrebbe versato lui alla firma del contratto e il saldo lo avrei pagato io, prima della partenza per gli Stati Uniti. Quindi felicissimo andai nello studio di RAIl da Gianni e gli diedi la notizia che tutte le sue richieste erano state accettate. Dopo avermi chiesto per due volte conferma del fatto che gli avrei pagato tutto il compenso anticipato, finalmente mi confermò la sua disponibilità, raccomandandomi di comunicarlo al suo ragioniere, che avrebbe preparato il contrato.
adriano aragozzini compleanno di sandra carraro
Avvisai subito il mio socio in America e rimasi in attesa del contratto per la firma. Qualche giorno dopo, il ragioniere di Morandi mi chiese un appuntamento. Notizia sconvolgente: il ragioniere mi comunicò che l'artista ci aveva ripensato e non avrebbe più effettuato gli spettacoli in America. Ovviamente mi incazzai coma una bestia e il collaboratore di Gianni mi disse che l'artista sarebbe stato disponibile a riconoscermi una cifra per il mio mancato guadagno. Quando si realizzano questi contratti è impossibile stabilire i ricavi, ma raggiungemmo un accordo che era il 10 per cento di 500mila dollari, vale a dire 50mila che, all'epoca, equivalevano a circa 33mila euro. Ma i miei interessi in quei concerti erano certo ben superiori anche perché, come socio dell'operazione, avrei potuto perdere ma anche straguadagnare e, trattandosi di Morandi, questa seconda possibilità era assai probabile.
Inoltre avevo un accordo con il mio socio per organizzare un concerto alla Carnegie Hall, con Piero Mazzocchetti, un artista che all'epoca rappresentavo. Annullando quel contratto, infine, Morandi mi aveva fatto fare una pessima figura e avevo perso anche l'opportunità di presentare Piero Mazzocchetti alla Carnegie Hall.
Un danno incalcolabile, economico e di immagine. Il ragioniere di Morandi, inoltre, mi disse che il massimo che l'artista mi avrebbe riconosciuto sarebbe stato 25 mila euro. Accettai senza ulteriori discussioni. Mi sentivo come non mi ero mai sentito: deluso, amareggiato e gabbato. Morandi, infati, dopo che avevo accolto tutte le sue richieste, mi aveva confermato il contratto e poi, senza una ragione plausibile, lo aveva annullato.
Da quel momento in poi, decisi che avrei evitato qualunque rapporto con lui. Qualche tempo dopo, però, purtroppo me lo ritrovai direttore artistico della RAI al Festival di Sanremo. In quel periodo seguivo ancora Piero Mazzocchetti, che aveva già partecipato al Festival nel 2007 e che, contro ogni pronostico, si era classificato al terzo posto nella categoria Campioni. Quell'anno il premio Oscar Luis Bacalov aveva scritto per Mazzocchetti una canzone meravigliosa, Un grido di poesia, e io l'avevo presentata al Festival. Nella mia grande ingenuità, quando avevo saputo che Morandi sarebbe stato direttore artistico e presentatore della manifestazione, ne ero stato contento, perché un cantante di grande successo e di grande esperienza come lui avrebbe sicuramente apprezzato quella canzone e il mio artista sarebbe stato ammesso al Festival.
Quando lo incontrai gli feci ascoltare il brano, insieme a Gianmarco Mazzi, direttore musicale della manifestazione. Gianni disse che il brano non era niente di particolare. Immaginate se un grande musicista premio Oscar mi avrebbe permesso di presentare una canzone al Festival, se questa non fosse stata non bella, ma bellissima.
Inoltre Luis Bacalov era stato l'autore del primo grande successo discografico di Gianni Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte ed era anche stato l'arrangiatore di tutti i suoi primi dischi. Gianni - che aveva deciso di non ammettere la canzone al Festival e di farmi così l'ennesima grande scorrettezza - telefonò a Bacalov. Ovviamente, un signore di ottant'anni, grande musicista, grande direttore di orchestra, grande autore, gli rispose: "Gianni, fai come ti pare, qualsiasi decisione tu prenda io l'accetterò serenamente." Subito dopo la telefonata con Gianni, Bacalov mi chiamò e mi disse: "Adriano, non mi sembra che Gianni sia ben disposto, però mi rifiuto di credere che non possa ammettere questa canzone a Sanremo."
gianni morandi lucio dalla allo stadio
Parlai di nuovo con Morandi, questa volta molto duramente. Gli dissi, per la prima volta dopo circa quarant'anni, tuto quello che avevo fatto per lui, per la scomparsa del padre e anche del suo comportamento negativo nei miei riguardi, compreso l'annullamento degli spettacoli negli Stati Uniti. Aggiunsi che avrebbe dovuto avere verso di me maggiore considerazione e rispetto. Inoltre gli ricordai che non avevo divulgato alla stampa tutto quello che era successo dopo la scomparsa del padre, mentendo ai giornalisti per nascondere l'accaduto.
Morandi si imbestiali: "Io, che ti ho riempito di soldi perché non ho fatto la tournée in America, adesso che fai? Mi ricatti, perché non ti prendo la canzone al Festival? Sei un ricattatore. E inoltre la canzone non verrà scelta quindi se vuoi creare uno scandalo, fallo pure. A me le polemiche possono solo far piacere!"
Naturalmente la canzone di Bacalov non venne accettata. Di fronte a queste accuse da parte di Morandi, mi caddero le braccia. lo ricattatore? Io che avevo, addirittura, rinunciato ai soldi che diversi giornali mi avevano offerto perché raccontassi la verità sulla morte di suo padre? E poi quella ridicola accusa di avermi riempito di soldi, solo perché mi aveva risarcito - pera-tro in modestissima parte (25 mila euro) - per i danni dell'annullamento di una tournée, non negli oratori - sia detto con rispetto parlando - ma negli Stati Uniti?
Una tournée il cui annullamento, improvviso e immotivato, mi era costato denaro, credibilità, immagine e una marea di tempo e tutto solo perché, in perfetta buona fede, mi ero fidato della sua parola? In quell'ultima occasione ricordai a Gianni che io - per ben quarant'anni e, più precisamente, dal 1972 al 2012 - no gli avevo mai parlato di suo padre né di quello che era davvero accaduto in Venezuela. Cosa posso dire? Non c'è molto da dire, se non che mi addolora essere costretto a constatare che ha ragione quel proverbio che dice: "Non far mai bene, non avrai mai male." Per fortuna i miei rapporti con Gianni Morandi si sono chiusi. Per sempre.