Christian Raimo per “la Repubblica”
Quattro giorni fa Russell Crowe è stato invitato al Campidoglio per essere nominato dall'assessore al turismo Alessandro Onorato e dal sindaco Gualtieri ambasciatore di Roma nel mondo. Il merito per ricevere quest'onorificenza è stato essenzialmente un selfie di qualche mese fa scattato al Colosseo insieme alla sua famiglia e qualche dichiarazione in un italiano stentato di amore per la città eterna, forte del suo credito con l'interpretazione del Gladiatore.
Evidentemente contento di questo suo nuovo ruolo il 17 ottobre Crowe ha voluto girare e pubblicare un video in cui gira il centro storico, villa Borghese, il Pincio, via Condotti, e lancia le monetine dentro Fontana di Trevi insieme alla moglie e una coppia di amici.
Magliettazza stazzonata, calzoni corti, monopattino, sorride all'obiettivo mentre montata male sotto si sente "Like a gay tarantella, When the stars make you drool, Just-a like pasta fazool", le parole di That's amore, la canzone di Dean Martin dedicata a Napoli, ma non stiamo a sottilizzare.
La domanda che viene da fare è: è davvero questa è l'immagine che l'amministrazione di Roma vuole dare di sé al mondo? Nel giro di un qualche mese Russell Crowe, una star non proprio all'apice della sua carriera, si è rifatto l'immagine diventando il testimonial della città di Roma, con un investimento pari a due selfie e un video in monopattino, un po' turista americano coatto un po' uomo in crisi di mezza età, e visto che c'era ha usato la città per la promozione gratis al film in uscita con la sua regia, Poker Face, ospitato alla Festa del cinema di Roma.
Il Comune di Roma poteva trattare Crowe come un simpatico turista, invece. Sembra che in questo modo Russell Crowe stia dando lustro a Roma e non il contrario. Senza rendersene conto, il sindaco e gli assessori di Roma si sono messi in una posizione di sudditanza culturale, finendo per mostrarsi provinciali. Come si può commentare il video di Crowe se non come una cafonata americana che al massimo possiamo parodizzare se vogliamo bene a Crowe?
Perché capita sempre così, perché non si capisce che il valore di Roma, della sua immagine, è di tutti? E che se proprio occorre venderla, potrebbe essere fatta almeno pagata carissima: agli attori hoolywoodiani, agli stilisti in cerca di un palco, ai cantanti che occupano per cinque giorni il Circo Massimo, a tutti coloro che con un po' di scaltrezza si mettono a favore di macchina pensando di essere Marcello nella Dolce vita o la principessa Anna in Vacanze romane, ma non assomigliano nemmeno a Bombolo in Delitto al ristorante cinese?
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