Marco Giusti per Dagospia
Costruito su tre diversi piani temporali, tre luoghi diversi di tutta l’America, ma anche tre generi di cinema completamente diversi, “Eureka”, primo film in nove anni dell’argentino Lisandro Alonso, regista di "Jauja" e “La libertad”, forte di un passaggio a Cannes e uno al New York Film Festival, è un complesso, ambizioso, un po’ lungo, ma anche estremamente coinvolgente ritratto della storia e della realtà dei nativi americani, dal Brasile al Dakota e su cosa resta oggi di loro e della loro cultura nei posti che un tempo avevano dominato.
Anche qui c’è un airone, come nel bel film di Miyazaki, che accoglie forse l’anima di una coraggiosa guerriera e poi quella di un indio, e vola da una parte all’altra dello spazio americano. Lo spazio che ora manca ai vecchi rimasti della riserva, mentre non manca certo il tempo, perché il tempo, sentiamo dire nel film, non esiste, è un’invenzione dei bianchi. Come non esiste, ho sentito dire recentemente da un’artista nativa brasiliana, un’arte contemporanea, perché nella cultura india non c’è un prima e un dopo, un passato e un presente.
Il primo episodio di “Eureka” è una sorta di western, con Viggo Mortensen, pistolero, che arriva in un paesino violento pieno di gente che spara e che muore in cerca della figlia. Lì incontrerà una misteriosa francese, detta El Coronel, interpretata da Chiara Mastroianni, che ritroveremo nel ruolo di un’attrice sperduta nella notte anche nel secondo episodio, ambientato oggi nella riserva indiana di Pine Ridge nel Sud Dakota. Protagoniste sono due ragazze indiane della tribù dei Lakota. Una, Alaina, interpretata da Alaina Clifford, è una poliziotta di turno la notte, che si imbatte in situazioni più o meno disperate.
L’altra, Sadie, interpretata da Sadie Lapointe, è una ragazza che ha provato a attaccarsi a qualcosa nella riserva, ma vedo solo disperazione e autodistruzione tra i ragazzi della riserva. Col terzo episodio, con gli indios a contatto con i bianchi in cerca di oro, passiamo negli anni ’70 brasiliani, sotto la presidenza di Ernesto Geisel, pupazzo della Cia, sentiamo un suo discorso sulla crisi economica del paese in piena foresta amazzonica.
Per ogni episodio c’è uno stile diverso di ripresa e di riferimento cinematografico. Ma devo dire che l’episodio che mi è piaciuto di più è il secondo, quello americano, dove si nota l'apporto del coproduttore italiano Roberto Minervini, ritratto straziante dell’America povera e senza speranze delle riserve indiane.'
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