Alberto Mattioli per la Stampa
E adesso samba. La storia è incredibile e inverosimile, quindi è tipicamente italiana. Siamo a Val di Zoldo, provincia di Belluno, 1.177 metri d' altitudine, principali attrazioni, d' inverno, il comprensorio sciistico della Civetta e tutto l' anno le Dolomiti e l' aria buona. Il Comune ha 3.200 residenti che vivono lì ma altri 1.530 iscritti all' Aire, l' anagrafe degli italiani all' estero. Di loro, 603, un' enormità, sono italobrasiliani con doppio passaporto.
Sì, perché il tranquillo Comune della valle è diventato meta di una massiccia, curiosa e un po' sospetta immigrazione dal Brasile. Tanto che l' Anagrafe, che non è esattamente strabordante di personale, perché in effetti dispone in tutto e per tutto di due impiegati, è sommersa di domande di residenza di brasiliani che hanno un antenato locale di cui spesso non ricordano nemmeno il nome ma provano un impellente bisogno di ottenere il passaporto italiano. Con tutti i vantaggi che comporta in termini di libera circolazione nella Ue e possibilità di stabilircisi e lavorarci.
Tutto dipende dal fatto che questa zona, poverissima finché qualcuno non inventò gli sport invernali, è stata per decenni terra di emigrazione. Fra la seconda metà dell' Ottocento e gli inizi del Novecento, quando partivano i bastimenti, molti abitanti della valle scelsero il Brasile: l' attività tipica, forse in ricordo delle nevi dolomitiche, era fare i gelatai. Un secolo dopo, a parti invertite, sono i discendenti di quegli emigrati a immigrare in Italia. Il nostro Paese, in attesa dello ius soli, ha sempre riconosciuto lo ius sanguinis: è italiano chi discende da italiani.
Ma normalmente la procedura è complessa perché bisogna passare dai consolati, di regola oberati di domande di aspiranti italiani con il bisnonno pizzaiolo o il trisavolo mandolinista. Dal 2007, però, da quando il ministero dell' Interno ha emanato la circolare numero 32, gli stranieri che hanno diritto al nostro passaporto possono venire in Italia e farne richiesta direttamente al Comune dove prendono la residenza.
«Normalmente ci vogliono almeno dieci anni di attesa per poter richiedere la cittadinanza, ma se si dimostra di discendere da un parente italiano, anche lontanissimo nel tempo, si può fare tutto in pochi mesi», spiega al "Corriere delle Alpi" Camillo De Pellegrin, sindaco di Val di Zoldo. Il problema è che frotte di brasiliani vogliono farlo proprio nel suo municipio.
Arrivano, prendono la residenza a casa dello stesso connazionale che cura le pratiche per tutti, chiedono la cittadinanza, la ottengono visto che le carte sono in regola, si iscrivono all' Aire e tornano a casa con un passaporto italiano nuovo di zecca in tasca. A chiedere la cittadinanza take away è personale qualificato, non i disperati da barconi. Arrivano imprenditori e professionisti, insomma gente cui un passaporto europeo, professionalmente, può far comodo.
Il sindaco non ci sta ad avere metà dei suoi amministrati residente all' estero, con tutte le relative complicazioni burocratiche. De Pellegrin si è rivolto alla questura di Belluno perché faccia le verifiche del caso e invoca una modifica alla famigerata circolare. Intanto "Il Gazzettino" ha scoperto che quello di Val di Zoldo non è un caso isolato. Pare che in zona la densità di brasiliani sia quella di un sambodromo nei giorni culminanti del Carnevale di Rio o del Maracanà quando gioca la Seleçao.
A Soverzene gli italoitaliani sono 386 ma gli iscritti all' Aire, per lo più italobrasiliani, il triplo. Ad Arsiè, racconta il sindaco che si chiama Luca Strapazzon ed è quindi sicuramente "local", i residenti sono 2.270 e gli espatriati 2.290. E torniamo di nuovo all' emigrazione: una sola delle famiglie a suo tempo partite da Arsiè, i Dall' Agnol, conta oggi almeno cinquecento discendenti brasileiri, ognuno dei quali avrebbe diritto di tornare alle amate sponde.
Per ora, dalla Questura di Belluno replicano che non ci sono anomalie. Insomma, tutto è in regola ma niente in ordine. E anche questo, in fin dei conti, è tipicamente italiano.