Michela Tamburrino per “La Stampa”
Figli che ammazzano i genitori. Genitori che non conoscono affatto i loro figli. Un uomo che ammazza un bambino e poi va in pizzeria. Sorelle come Paola e Silvia che uccidono e poi mentono senza prevedere alcuna resipiscenza d'orrore. Un adulto come Mariano che neppure prende in considerazione il fatto tragico che ha causato gettando una creatura giù dal balcone. E poi ci sono quelli in cerca di visibilità, capaci d'affrontare le telecamere, senza che la loro verità venga scalfita.
Una galleria di personaggi che da Pietro Maso alle ultime ore di questa strana estate porta alla ribalta l'omicida mediatico e l'omicida indifferente. Franca Leosini indaga, studia e racconta, in tv, il clic che scatta in una mente fino a un attimo prima ritenuta normale. Che cosa nella quotidianità porta alla banalità del male. Per poi in molti casi tornare indietro come nulla fosse, un azzeramento dei sensi di colpa e del senso di responsabilità.
SONIA BRACCIALE FRANCA LEOSINI
Leosini, sappiamo che lei non giudica mai, ma un giudizio s' impone...
«Un giudizio molto difficile, perché in questi casi citati pare si sia talmente anestetizzata la sensibilità comune da farci trovare al cospetto di un'assoluta assenza dei valori, di vite ridotte in miseria. Sono i nuovi mostri? Difficile dire anche questo. Innanzitutto bisogna vedere che cosa, in loro, determina l'assenza assoluta di umanità. Purtroppo sono vicende sempre più diffuse con dati sempre più allarmanti».
Quali per esempio?
«Sgomenta che i protagonisti siano in maggior parte giovani. È giusto allora porsi delle domande, questi giovani da dove attingono i disvalori che poi li portano a delinquere senza provare neppure dolore o pentimento? Se li prendono dalla società nella quale tutti si vive, allora la responsabilità morale di quanto hanno fatto ce la dobbiamo prendere tutti noi».
Forse in televisione si parla con troppa facilità di delitti e derivati?
«La troppa disinvoltura potrebbe dare loro alcuni spunti, ma non credo sia la strada giusta. La cronaca ha i suoi diritti che non si possono cancellare. Casomai restituire un segno di maggiore condanna, far comprendere ai ragazzi che guardano la tv che agire così equivale a rovinarsi la vita per sempre».
franca leosini intervistata foto di bacco
E le famiglie di provenienza?
«Ho visto ragazzi responsabili di gesti atroci venire da famiglie che hanno percorsi limpidi. Casomai parlerei di amicizie e frequentazioni sbagliate. Quando si è giovani si è anche facilmente suggestionabili. Non è una storia da ascriversi solo all'oggi, va da Pietro Maso e Corrado Ferioli, giovani che ammazzano i genitori senza provare sensi di colpa. Troppo facile rifugiarsi nella malattia mentale».
Vogliamo tirare in ballo il Dna?
«Esiste una trasmissione dei geni, ma sarebbe troppo facile agganciarcisi. La scienza lo prevede, ma darei un'importanza relativa se si crede come me nel libero arbitrio. Quando il gesto omicida si accompagna alla freddezza e alla capacità di esibizionismo, allora l'allarme è maggiore perché significa che le radici affondano in un terreno malato. I giovani che trasmettono questo comportamento creano un allarme sociale».
Lei si interroga sul domani di queste persone che hanno compiuto delitti terribili?
franca leosini e i fratelli castagna
«Tanto spesso che ci ho costruito una trasmissione, che andrà in onda in autunno su Rai3 e gli ho dato come titolo "Che fine ha fatto baby Jane", dal famoso film anni Sessanta con Bette Davis e Joan Crawford. Qui indago sul terzo atto della vita di un individuo che ha ucciso e che ha scontato la pena. Mi interessa scoprire qual è il loro destino e che cosa possono ancora dare alla società. In che misura vengono riaccolti e qual è la loro nuova realtà umana. In questa serie, il primo caso che prendo in esame è proprio quello di un figlio che ha ammazzato la madre. Mi pongo nell'ottica della comprensione. Mi chiedo quale guasto abbia potuto portare dalla quotidianità al gesto estremo. I protagonisti scendono con me nell'inferno del loro passato per rintracciare il momento che ha stravolto la loro vita».
Spesso alla base di questi delitti c'è un interesse economico. Anche le due sorelle Paola e Silvia, omicide di poche ore fa, parlavano di comprare macchine e di fare vacanze, dopo. Erika e Omar anche pensavano a una libertà agiata da viversi, dopo. Sarà mica anche colpa della nostra società che spinge verso standard così elevati da richiedere di tutto pur di uniformarcisi?
«Seguendo questo ragionamento, ognuno di noi potrebbe essere candidato al delitto. La colpa casomai è di chi fa un uso distorto degli strumenti che la società mette a disposizione».
Torniamo alla tv e al caso delle due sorelle che a Chi l'ha visto si sono presentate quali vittime lanciando appelli per la madre scomparsa. Voglia di visibilità?
«No, esigenza di menzogna. Loro vanno, parlano per mentire, per negare eventuali sospetti che li coinvolgano. Ambiscono alla visibilità i mentitori, una visibilità che tende alla mistificazione. Io invece parlo con persone che hanno elaborato la loro colpa e che la stanno o l'hanno scontata. Il comportamento è completamente diverso».
C'è un caso di questi citati o di altri non menzionati che l'ha particolarmente colpita nel senso dell'indifferenza provata dall'omicida?
«Nelle mie 98 storie maledette nessuno ha mostrato mai indifferenza per quanto fatto. Se ci fosse stato un interlocutore di questo tipo non gli avrei dato modo di parlare. Io mi occupo dei guasti della vita, non dei guasti della mente. Le persone che intervisto si sono rese responsabili di gesti tremendi ma sono perfettamente consapevoli di quello che hanno fatto e del prezzo che stanno pagando».
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