TRE, DUE, UNO… CYBERFUOCO! GLI UOMINI DEL CALIFFATO HANNO SPARATO 133MILA TWEET, DA 46 MILA PROFILI, PER RENDERE VIRALE LA JIHAD - L’ATTIVITÀ ONLINE DEI JIHADISTI ARRIVA DA SIRIA, IRAQ E ARABIA SAUDITA

Il jihadista tipo: sette tweet al giorno, in tre quarti dei casi in arabo (e in uno su cinque in inglese), che raggiungono in media 1004 follower - Ma buona parte del successo dell’Is sui social media può essere attribuito a un gruppo relativamente ristretto di utenti iperattivi, tra i 500 e i 2000 profili…

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Fabio Chiusi per “la Repubblica”

 

mogli isis su twitter mogli isis su twitter

Oltre 133 mila tweet da 46 mila profili, di cui oltre 1.500 condividono più di 50 contenuti pro-jihad, con picchi fino a tre volte superiori. È questa la potenza di fuoco quotidiana, almeno fino a dicembre 2014, dello Stato Islamico su Twitter, di cui molto si è scritto, ma mai in modo rigoroso e sistematico come in questo lavoro realizzato da J. M. Berger, ricercatore della Brookings Institution, insieme al data scientist Jonathan Morgan. I risultati vengono dal campione che anima le 63 pagine del loro The Isis Twitter Census , uno studio in grado di restituire una inedita demografia dei supporter del Califfato di Al Baghdadi sul social network.

 

Nuove minacce Isis via Twitter, bandiera sul Colosseo Nuove minacce Isis via Twitter, bandiera sul Colosseo

Le pagine descrivono il jihadista tipo: sette tweet al giorno, in tre quarti dei casi in arabo (e in uno su cinque in inglese), che raggiungono in media 1004 follower. Ma affrontano soprattutto questioni fondamentali ancora senza risposta: quanti simpatizzanti prendono effettivamente parte alle strategie online dell’Is? Come operano in concreto i loro network?

 

il bambino decapita la bambola come foley da twitter di un gruppo vicino a isis il bambino decapita la bambola come foley da twitter di un gruppo vicino a isis

E la reazione di Twitter — rimuovere il materiale dei terroristi con maggiore severità e prontezza — funziona? Le risposte non mancano. Dall’analisi di Berger e Morgan si scopre per esempio che «buona parte del successo dell’Is sui social media può essere attribuito a un gruppo relativamente ristretto di utenti iperattivi, tra i 500 e i 2000 profili, che twitta in raffiche concentrate ad alto volume».

 

Sono i cosiddetti mujtahidun : sono le loro eruzioni rapide e violente di tweet a renderne virali le battaglie, spesso non facendo che riproporre materiale pubblicato da account con meno follower. Ma costituiscono lo zoccolo duro del Califfato su Twitter: sarebbero appena 79, ciascuno dotato di diversi profili, così da far fronte alle sospensioni imposte dai gestori della piattaforma.

isis -twitter-photo isis -twitter-photo

 

«Le sospensioni dei profili hanno effetti concreti nel limitare le possibilità e la portata delle attività dell’Is sui social media», scrivono Berger e Morgan. Abbastanza, se non altro, per colpire il 3,4% di una rete jihadista la cui attività online è principalmente localizzata nei territori occupati dallo Stato Islamico in Iraq e in Siria, oltre che in Arabia Saudita.

 

E, in un solo caso, in Italia, a Padova. Secondo gli autori potrebbe andare meglio se, invece di limitarsi a colpire i profili più in vista, le cancellazioni raggiungessero la struttura profonda — e spesso segreta, dato che comunica solo al suo interno — della propaganda Is su Twitter. Ma già così l’hashtag preferito dal gruppo — il suo nome in arabo — è passato da 40 mila tweet al giorno di settembre 2014 a una media di circa 5 mila a febbraio di quest’anno.

 

TWITTER ISIS TWITTER ISIS

twitter mogli isis twitter mogli isis

C’è da bilanciare poi la repressione con il surplus di dati che quei messaggi ci trasmettono sui miliziani online, indispensabili per identificare i profili che producono più spesso disinformazione e menzogne, così come per tracciare gli spostamenti delle centinaia di jihadisti che — in barba alla minaccia di Al Baghdadi di sequestrarne gli smartphone — cinguettano condividendo dove si trovano.

 

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E se il risultato delle rimozioni è un maggiore isolamento di singoli simpatizzanti, questo può significare anche una minore esposizione a soggetti che potrebbero distoglierli dall’intento di radicalizzarsi. Tuttavia, scrivono gli autori, visto che la questione riguarda tutte le piattaforme sociali, sarebbe bene fossero queste ultime ad anticipare la smania regolamentatrice delle istituzioni adottando politiche di contrasto più mirate e consapevoli. «Senza articolare la loro visione ai governi», si legge, «saranno i governi a imporre la loro, ben più restrittiva».

 

 

 

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