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La politica è una cosa seria. La vita interna a un partito, anche. E se Fratelli d’Italia ha raggiunto la taglia XXL, con un consenso che sfiora il 30%, non può riprodurre le dinamiche politiche di quando galleggiava tra il 3 e il 4%. Il partito guidato da Giorgia Meloni non ha dissenso interno: l’unica corrente eterodossa, quella dei “gabbiani” di Fabio Rampelli, è stata sostanzialmente silenziata. Non abbaia, non incide, non fa opposizione. Tace, forse mastica amaro, ma alla fine s’allinea.
Come fa un partito così grande, senza correnti né dibattito, a essere controllato da quella specie di politburo che è la “Fiamma magica” composta dalle sorelle Meloni, dal sottosegretario Fazzolari e dalla segretaria-tuttofare di Giorgia, Patrizia Scurti? E infatti non si puo’: usare il pugno di ferro per militarizzare un partito alla lunga logora. Gioco-forza rischi di ritrovarti schiere di franchi tiratori pronti a impallinarti alla prima occasione.
fabrizio alfano patrizia scurti giorgia meloni in svizzera al summit per la pace 3
Senza un rapporto dialettico tra segretario e correnti, tra vertice e peones, tra generali e truppa (che i più analogici chiamano ancora “politica”), emergono inevitabilmente problemi di tenuta interna. Ne è un limpido esempio quel che è accaduto con “l’infame” (un parlamentare di Fratelli d’Italia) che ha fatto uscire dalla chat di partito l’informazione sul blitz deciso dalla Ducetta per eleggere come giudice della Corte costituzione il suo consigliere giuridico a palazzo Chigi, Francesco Saverio Marini.
Trattare da vassalli (peggio: da camerieri) i propri parlamentari, senza concedere loro un fiato su alcunché, puo’ creare molti problemi a un capo partito. Soprattutto a quelli più intransigenti verso il dissenso.