LA VENEZIA DEI GIUSTI - ARRIVA UN ALTRO FILMONE D’AUTORE TARGATO NETFLIX PRONTO PER LA CORSA ALL’OSCAR: E' “BARDO" DEL GIÀ PREMIATISSIMO REGISTA MESSICANO ALEJANDRO GONZÁLEZ IÑÁRRITU - ECCESSI VIRTUOSISTICI DI OGNI TIPO SI ALTERNANO A SEQUENZE DI CATTIVO GUSTO CHE REGISTA E DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA MAGARI SI POTEVANO RISPARMIARE. PER NON PARLARE DEL...

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Marco Giusti per Dagospia

 

Ci siamo. Alla fine di una giornata finalmente di pacificazione tra accreditati e biglietti-on-line arriva un altro filmone d’autore targato Netflix lungo ben 174’ (ma cosa sono a confronto delle serie dalle stagioni infinite?) pronto per la corsa all’Oscar.

 

E' “Bardo, o falsa crónica de unas cuantas verdades” del già premiatissimo regista messicano Alejandro González Iñárritu, è un buon ritorno a casa, nel senso del Messico, e un eterno ritorno al fellinismo di “8 ½” (genere che forse andrebbe vietato o limitato da qualche codice morale cinematografaro o da qualche vecchio rospo morente come in “The Kingdom – Exodus”), che alterna grandiose e ricchissime sequenze fotografate da Darius Khondji, con piani sequenza memorabili e eccessi virtuosistici di ogni tipo a sequenze un bel po’ meno riuscite e magari di cattivo gusto che regista e direttore della fotografia magari si potevano risparmiare.

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Il tutto per raccontare, attraverso gli occhi di un giornalista diventato documentarista celebrato in tutto il mondo, da anni di casa in America, Silverio, interpretato da un simil-Cacciari Daniel Giménez Cacho (“We Are Who We Are”, “Memoria”) che, tornato a Città del Messico rivede la sua vita e la storia del suo martoriato paese, passando dai massacri di Herman Cortes ai difficili rapporti con gli Stati Uniti, a cominciare dalla guerra di 175 anni fa. Proprio nel momento in cui, e questa è la trovata più divertente del film, l’Amazon di Jeff Bezos, non Netflix per carità, si sta comprando il Basso Messico per una manciata di monetine d’oro senza sparare un colpo.

 

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Mettiamoci dentro tutto. Lo strapotere dei media, quello del capitalismo americano, l’identità non identità dei messicani, popolo migrante per definizione, il sentirsi parte indio, parte “scuretto”, una meravigliosa intervista a un capo dei narcos acculturato che viene applaudito più di un leader grillino non acculturato una decina d’anni fa.

 

E i problemi della famiglia, una figlia a Boston, Ximena Lamadrid, che è stanca di mangiare cibo di plastica, un figlio che vuole parlare solo inglese, una bellissima moglie, Griselda Siciliani, che lo ama (la scena d’amore con lei e il loro ballo sono effettivamente scene favolose) ma sa che può contare su “100 uomini pronti a ballare con lei” (caramba!), un figlio nato che ha vissuto solo per 30 ore che ancora tormenta i ricordi dei genitori, le ombre di un padre morto otto anni prima e di una madre malata, una serie di amici che gli rimproverano qualsiasi cosa, a cominciare ovviamente dal successo.

 

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Il barbuto Silverio deve ricevere un premio dei giornalisti a Città del Messico e un premio a Los Angeles, ma si ostina a scappare da tutto e da tutti come il Marcello Mastroianni di “8 ½”. Inarritu ha un’idea geniale di sceneggiatura, scritta con Nicolas Giacobone. Il documentario per cui Silverio verrà premiato è il film che stiamo vedendo, “Bardo”, che mescola realtà e fantasia, e quindi i personaggi parlano della parte precedente rispetto a quello che stiamo vedendo come un già visto, sia loro che di noi spettatori. Altro virtuosismo.

 

il cast di bardo il cast di bardo

Per non parlare dell’incredibile piramide di morti indios dei conquistadores spagnoli capitanati da Cortes. Un polpettone, si direbbe, e un po’ lo è, con delle parti bellissime, come l’inizio con un’ombra in volo lungo il confine con l’America, omaggio al popolo migrante, e con trovate che (scusate ma) non mi piacciono affatto, come i desparecidos che si materializzano nel centro di Città del Messico.

 

Per non parlare dell’estrema fellinata della porno star Tania con due uova fritte spiaccicate sulle tette che Silverio/Marcello succhierà sotto il letto di quando era ragazzino. Aiuto! Fellini, con tutto il suo machismo riminese, non lo avrebbe mai fatto. Insomma, si può piangere, si può guardare a occhi spalancati. E’ un grande spettacolo, anche se forse non è il mio spettacolo. Hai già fatto “Birdman”, no? E’ un grande spettacolo, però, con tanto di visita agli studios di Churubusco dove venne girato “I magnifici sette” di John Sturges.

 

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E ti chiedi davvero cosa voglia raccontare Inarritu con questo film elefante che, come il bambino che non vuole nascere, preferisce nascondersi dentro il ventre della mamma. Ma sbaglio o anche Marcello vedeva in sogno il padre morto? Pronto per il lancio all’Oscar, verrà distribuito in America il 18 novembre in sala e un mese dopo sulla piattaforma.

 

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