Marco Giusti per Dagospia
Venezia 73. Spira Mirabilis. Arriva il primo film italiano in concorso! Sveglia! E armatevi di un po’ di pazienza per vedere questo film-opera italiano, Spira Mirabilis, diretto da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, una coppia di registi, lui anche direttore della fotografia, alla loro quinta prova, ma per la prima volta in concorso a Venezia. Non è esattamente un documentario, anche se ha delle parti documentaristiche.
Magari è più vicino al tipo di cinema che può fare un Gianfranco Rosi o qualche dotto documentarista cinese. Film-opera, visto l’impegno dimostrato sulla costruzione visiva e musicale mi sembra giusto. Accompagnato da una dotta lettura che fa la divina Marina Vlady, già musa di Jean-Luc Godard, di Jean Cocteau, di Luciano Emmer, di Marco Ferreri, di Orson Welles, de “L’immortale” di Jorge Luis Borges, sfilano di fronte ai nostri occhi quattro storie.
La prima, legata al Fuoco, è quella di una donna sacra e di un capo spirituale dei Lakota in lotta con l’oppressione bianca per la difesa dei propri diritti. La seconda, legata alla Terra, è quella della rigenerazione delle statue del Duomo di Milano. La terza, legata all’aria, è quella della costruzione di una serie di strumenti musicali di metalli da parte di due maestri-inventori tedeschi, Felix Rohner e Sabina Scharer. La quarta, legata ovviamente all’Acqua, è quella di un buffo scienziato canterino che ha scoperto che una certa medusa rossiccia è immortale, cioè riesce a rigenerarsi.
Le quattro storie, dislocate in quattro diverse parti del mondo, formano una sorta di spirale meravigliosa dove l’uomo, con i quattro elementi fondamentali, punta alla ricerca, alla creatività legati all’idea di immortalità e rigenerazione. La Spira Mirabilis, leggo le note del press book, è come il matenatico Jakob Bernoulli definì “una spirale logaritmica il cui raggio cresce ruotando e la cui curva si avvolge intorno al polo senza però raggungerlo mai”.
Diciamo che quando si capisce il quadro complessivo dell’opera, costruita per gran parte di immagini da documentario d’arte e da un suono e una musica estremamente presenti, la nebbia della prima ora del film, si dipana e riusciamo un po’ a capire il progetto. Anche perché i personaggi, come lo scienziato giapponese Shin Kuboka, sono molto interessanti e ci sarebbe piaciuto sentirli parlare un po’ di più.
Al punto che la parte più intensa è quella indiana, dove alle immagini di oggi si alternano vecchi documenti meraviglioso della rivolta di Wounded Knee. Alla fine, anche se con un po’ di fatica, il film funziona e funzionerà, soprattutto, nella visione da festival o da cinema d’essai.
E bene ha fatto Barbera a inserirlo tra i film italiani in concorso, perché dimostra di una vitalità del nostro cinema che non vuole essere solo commedia. Certo, qualche limite c’è. Anche perché il film, molto ambizioso, molto alla moda, purtroppo non è sempre sostenuto dalla tensione poetica-visiva-musicale che vorrebbe avere e gli nuoce un po’ questa costruzione cosmica alla Terrence Malick, quando aveva in realtà in mano i personaggi e le storie giuste. Ma Spira Mirabilis almeno porta nel cinema italiano l’idea che si possono portare avanti progetti non tradizionali di cinema.