Cecilia Attanasio Ghezzi per "la Stampa"
È «estremamente improbabile» che il nuovo coronavirus sia uscito da un laboratorio. A più di un anno dallo scoppio della pandemia, oltre cento milioni di contagi e due milioni di morti per Covid-19, la tanto difficile missione dell' Oms volge al termine senza risposte definitive. Dopo due settimane di quarantena e altrettante di ricerca sul campo, gli esperti dell' organizzazione mondiale della sanità sono in grado di escludere l' ipotesi della fuga del virus dal laboratorio, ma non hanno fatto alcun passo in avanti sull' origine del contagio.
«Abbiamo cambiato drasticamente il quadro che ci eravamo fatti? Non credo» ha detto di fronte ai reporter di tutto il mondo lo scienziato danese portavoce della missione Oms Peter Ben Embarek. Ma ha poi aggiunto: «Abbiamo migliorato la nostra comprensione con nuovi dettagli? Certamente».
La squadra internazionale, guidata e scortata delle autorità locali, ha visitato gli ospedali di Wuhan, il nuovo museo che celebra la vittoria cinese sul coronavirus, il mercato dove furono identificati i primi contagi nel dicembre del 2019 e l'Istituto di virologia dove si svolgevano esperimenti su pipistrelli e coronavirus.
Non hanno trovato alcuna prova di una circolazione del virus prima del dicembre 2019 né hanno formulato nuove ipotesi su come sia arrivato al mercato di Huanan. La più plausibile rimane la zoonosi, ovvero la trasmissione dall' animale all' uomo, probabilmente attraverso una specie intermedia. Si è parlato di pipistrelli e pangolini, ma anche visoni e felini, vista la loro suscettibilità al Covid-19.
Nella stessa conferenza stampa il professor Liang Wannian, della Commissione nazionale cinese per la salute, ha sottolineato come i virus identificati in queste specie sono «insufficientemente simili» per essere identificati come progenitori del Sar-Cov-2, ma sono degni di ulteriori approfondimenti come quelle teorie che vedono «un possibile ruolo della catena del freddo e dei prodotti surgelati nella trasmissione del virus, magari anche su lunghe distanze».
Una narrazione cara alla Cina, che sempre più spesso rileva il virus nei prodotti surgelati di importazione. Al netto degli interrogativi che rimangono aperti, bisogna ricordare che l'Oms ha ricevuto il genoma del nuovo coronavirus solo dopo che almeno tre differenti laboratori cinesi lo avevano sequenziato e solo perché era stato pubblicato su un sito specialistico senza passare per l'approvazione governativa. Era l'11 gennaio 2020 e dovranno passare altre due settimane prima che Pechino fornisca dettagli sul numero dei casi e lo stato dei pazienti.
La Cina, d' altronde, accettò un' ispezione dell' Oms solo il 28 gennaio, dopo che il suo direttore generale Tedros Gebreyesus espresse «rispetto e gratitudine» per la Repubblica popolare. Di qui il ritardo nel dichiarare lo stato di emergenza globale, il 30 gennaio 2020, con la conseguente perdita di settimane preziose in cui, secondo il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie cinese, i contagi potrebbero essere aumentati fino a 200 volte. Rimane agli atti l' impotenza dell' Oms che non ha poteri esecutivi, non può indagare in maniera indipendente e deve fare affidamento sulla cooperazione dei Paesi membri. In Cina, come nel resto del mondo.