ARIPIJAMOSE ROMA - LA BANDA DELLA MAGLIANA NON È FINITA CON DE PEDIS MA SI È TRASFORMATA E SI È BUTTATA NEGLI AFFARI E NEGLI APPALTI - IL RUOLO DI NICOLETTI, BANCHIERE DELLA GANG MA ANCHE DI CAMORRA E NDRANGHETA, E QUEL TRIANGOLO CARMINATI-SENESE-DIOTALLEVI

I magistrati dell’antimafia: “‘Mafia Capitale’ evidenzia un gruppo criminale che costituisce il punto d’arrivo di organizzazioni che hanno preso le mosse dall’eversione nera, che si sono evolute nel fenomeno criminale della Banda della Magliana e si sono definitivamente trasformate…”

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Angela Camuso per “il Fatto Quotidiano

 

SALUTI DA ROMA SALUTI DA ROMA

   Sarebbe un errore annoverare ‘Mafia Capitale’ nel catalogo delle nuove mafie. Perché deve escludersi che la sua genesi sia recente” e anzi deve “reputarsi che essa sia radicata da tempo…. La pellicola di ‘Mafia Capitale’ evidenzia un gruppo criminale che costituisce il punto d’arrivo di organizzazioni che hanno preso le mosse dall’eversione nera, che si sono evolute nel fenomeno criminale della Banda della Magliana e si sono definitivamente trasformate…” .

   

Questo scrivono i magistrati della Dda di Roma nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita lo scorso 1 dicembre nei confronti del nero Carminati er Pirata, o er Cecato, l’ex bandito della Magliana che all’epoca, mentre militava nei Nar, compiva insieme ai capi della gang delitti comuni anche efferati, secondo i pentiti, che lo accusarono non solo di essere il killer di Mino Pecorelli ma dissero che il Pirata regolarmente partecipava a spedizioni di morte che erano routine per quei malavitosi di borgata, come accadde quando, secondo il pentito Maurizio Abbatino, Carminati dopo aver tentato di uccidere due persone impugnando un mitra Mab prelevato dall’arsenale dei neofascisti, si era fatto rilasciare un falso certificato di ricovero presso l’ospedale militare del Celio per precostituirsi un alibi. Lucido e spietato. Affidabile e rigoroso.

 

MAFIA CAPITALE MAFIA CAPITALE

Non a caso Renatino De Pedis lo avvicinò a sé, quando ormai la banda si era divisa e De Pedis si era allontanato da quelli che nel gruppo erano rimasti malavitosi veraci, perché sperperavano i guadagni invece che accumularli e moltiplicarli come faceva lui, il Dandy, che si era ormai messo in affari con Enrico Nicoletti, ‘banchiere’ della gang ma anche della camorra e della ‘ndrangheta insediate a Roma, quello a cui De Pedis consegnava i soldi affinché li moltiplicasse, attraverso l’usura oppure investendoli in investimenti immobiliari e negozi.

   

Delinquenti rivestiti da imprenditori

Michele Senese Michele Senese

   Già all’epoca gli appalti del Comune di Roma facevano gola, tant’è che Nicoletti - mentre intanto tesseva la sua tela di rapporti anche con la camorra di Michele Senese e affiancava a sé gli zingari Casamonica, per utilizzarli nelle operazioni di recupero crediti - aveva infiltrato il cantiere dell’università di Tor Vergata facendosi assegnare dal Campidoglio lavori per 434 milioni di vecchie lire, allo scopo di fare un ospedale annesso alla nuova facoltà di Medicina. Affare suggellato da un pranzo a cui parteciparono, tra gli altri, lo stesso Nicoletti e l’allora sindaco di Roma, Ugo Vetere, calabrese, eletto col Pci.

 

I soldi che finivano negli appalti, in quei tempi, erano quelli del traffico di eroina dalla Sicilia dopo che De Pedis si era alleato con il cassiere di Cosa Nostra Pippo Calò attraverso il suo luogotenente romano Ernesto Diotallevi.

 

Un altro, Diotallevi, col pallino per gli affari, tant’è che col denaro di Calò aveva avviato speculazioni in Sardegna, attraverso società immobiliari che avevano sede a Roma, nel quartiere Prati.

 

Oggi sappiamo che Massimo Carminati con lo stesso Diotallevi era in affari per alcuni appartamenti a nord della capitale e che all’interno di quelle unità immobiliari il Cecato aveva in mente di nascondere un arsenale di armi, tra cui due pezzi di Makarov 9 con silenziatore. “Non senti neanche il clack, prima che se ne accorgono... cioè... già si è allargata la macchia di sangue...”, diceva mentre ne parlava col suo braccio destro Riccardo Brugia, ex neofascista, secondo il collaboratore di giustizia Roberto Grilli attualmente “uno dei più grossi rapinatori di Roma”.

MASSIMO CARMINATI MASSIMO CARMINATI

 

Sempre dalle carte di mafia capitale, sappiamo che Carminati nel 2013 si incontrava con il boss Michele Senese, condannato di recente all’ergastolo, già legato a Nicoletti. Il clan Senese, nel corso degli ultimi vent’anni, a Roma ha conquistato il monopolio della distribuzione della droga sulle piazze dello spaccio. Business contemporaneo non più dell’eroina ma la cocaina, importata dalla Spagna. I carabinieri scoprirono che Carminati, a maggio dello scorso anno, si vide al bar “La Piazzetta” vicino corso Francia, col sanguinario “Michelino”, come lo chiamava affettuosamente il Cecato.

 

Ed era un periodo in cui Senese, tornato libero per decorrenza dei termini di custodia, si era reso irreperibile. Gli investigatori videro Carminati e il camorrista discutere tra loro e quindi separarsi bruscamente. “Hanno un rapporto alla pari”, dedussero gli inquirenti. Non a caso, un anno prima, Carminati fece da paciere a seguito di un fatto di sangue di cui era rimasto vittima, per mano di alcuni napoletani assoggettati ai Senese e legati alle frange estreme della tifoseria laziale, un bandito romano già legato ai Fasciani di Ostia, gruppo legato Cosa Nostra che si era accaparrato tutte le concessioni delle spiagge sul litorale.

ERNESTO DIOTALLEVI ERNESTO DIOTALLEVI

 

A proposito dei legami di Carminati con Cosa Nostra, il pentito Sebastiano Cassia ha dichiarato che “ per certe cose… tipo ammazza’ qualcuno qua a Roma, i Santapaola parlavano pure co’ Massimo….”, per avere un placet e ottenere supporto logistico.

   

Gli amici avvocati e le mire politiche

   Dunque De Pedis-Nicoletti-Carminati. “Renatino la domenica si attaccava al telefono e chiamava il fior fiore degli avvocati di Roma… Era referente, diceva: Avvocato, professore, ha ricevuto il regalo?... De Pedis già si stava costruendo il futuro... Aveva questi modi da boss imprenditoriale... Per questo era di una noia mortale... Non si faceva neanche una canna! Si preparava agli avvenimenti che lui sognava...

 

Si immaginava, perché no, con qualche incarico in Parlamento, magari come sottosegretario o presidente di qualche cosa” disse anni fa in un’intervista a chi scrive il pentito della Magliana Antonio Mancini, detto l’Accattone. De Pedis il bandito con velleità borghesi. De Pedis che prima di morire ammazzato a 36 anni viveva in un appartamento al quinto piano dietro il Parlamento, in piazza della Torretta 26, ufficialmente sede di una società di costruzioni.

 

BANDA DELLA MAGLIANA LA REGGIA DEL CASSIERE ENRICO NICOLETTI BANDA DELLA MAGLIANA LA REGGIA DEL CASSIERE ENRICO NICOLETTI

Lì Renatino abitava con la moglie, Carla Di Giovanni, figlia di buona famiglia, un padre funzionario dell’ex azienda Iacp (Istituto autonomo case popolari). Si era comprato, Renatino, la boutique di Enrico Coveri, sulla prestigiosa via della Vite. E della banda era anche il «Jackie O’», famosa discoteca dietro via Veneto. Poi De Pedis era morto ammazzato per mano di Antonietto D’Inzillo, anche lui ex neofascista già legato a Gennaro Mokbel.

 

E dopo la morte di De Pedis, Enrico Nicoletti salì sul suo trono. Iniziò quattro anni dopo il maxi processo alla banda della Magliana e quando arrivò la sentenza definitiva Enrico Nicoletti, Carminati e tanti altri appartenenti all’ala finanziaria della gang uscirono dopo lievi condanne, non avendo i giudici ritenuto la banda associazione mafiosa.

 

MAURIZIO ABBATINO PORTATO IN QUESTURA jpeg MAURIZIO ABBATINO PORTATO IN QUESTURA jpeg

Oggi i magistrati ripartano da qui, dal punto in cui i rappresentati della pubblica accusa di venti anni fa fallirono. E suggeriscono di guardare indietro, senza però spiegare cosa sia accaduto dal momento in cui la banda della Magliana fu ufficialmente sgominata – ora sappiamo che non è così – al giorno in cui è stato palese che essa non era affatto morta bensì si era “evoluta”, investendo e moltiplicando quel capitale iniziale lasciato da Renatino al suo ‘banchiere’.

 

I magistrati non fanno neppure cenno, in quelle oltre mille e cento pagine di custodia cautelare, al fatto che 11 anni fa ci fu un pentito, Dario Marsiglia, che svelò alla Dda quali erano, già all’epoca, cioè nel 2003, le alleanze criminali a Roma. Marsiglia, catanese, era il pupillo di Giuseppe detto Ciccio D’Agati, già uomo di Calò e rappresentante in quegli anni nella capitale della cupola di Bernardo Provenzano. I suoi verbali di interrogatorio finirono presto in un cassetto. Eppure Marsiglia aveva raccontato come gli eredi di De Pedis ancora gestissero numerosi centri commerciali al centro, soprattutto a Testaccio . E che D’Agati era in rapporti già all’epoca con Carminati.

Mino Pecorelli Mino Pecorelli

 

Il pentito aveva anche parlato del sempreverde Ernesto Diotallevi, a cui sette anni dopo l’Antimafia sequestrerà 25 milioni di euro. Aveva detto Marsiglia che Diotallevi trafficava cocaina con Nicoletti. E che «Nicoletti per la droga si appoggiava ai Senese». Carminati, invece, secondo Marsiglia ,«era molto vicino ai siciliani ed era pertanto intoccabile». Per questo motivo non era stato ucciso dagli ex della Magliana della vecchia guardia nel frattempo usciti di galera. Questi ultimi erano intenzionati a vendicarsi nei confronti di quelli appartenenti all’ala finanziaria della banda che invece l’avevano fatta franca.

PIPPO CALO' PIPPO CALO'

   

I miliardi e gli infami

   “Si stava ricostituendo e ci stavano riuscendo la banda della Magliana, per far fronte a certe eliminazioni per Nicoletti, Carminati e Vitale – racconterà Marsiglia – perché quelli tra droga, usura e estorsioni al centro di Roma si erano fatti i miliardi, chiamando gli altri ‘infami’”.

 

 

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