Tonia Mastrobuoni per “la Repubblica” (ha collaborato Luca Faccio)
Il velo è punk. È diventato un segno di protesta, di rifiuto. Le ragazzine lo indossano con aria di sfida, poi si mescolano con le loro compagne di classe senza velo, vanno a braccetto con loro per le vie di questo vecchio quartiere popolare, ridono spensierate come loro. Non necessariamente sono musulmane praticanti, ma sono orgogliose delle loro radici. E si sentono oppresse da una società che vorrebbe obbligarle a scegliere, a optare per il bianco o il nero, per la religione o l’Austria.
«Il velo è il loro simbolo del rifiuto, anche nei confronti di queste nuove destre ultranazionaliste», spiega Kurt, aspirando con voluttà la sua sigaretta. «La novità è che le ragazze con o senza velo non si evitano più a vicenda, come una volta. Stanno insieme, sono oppresse dalle stesse tensioni sociali, solidarizzano». Siamo in uno dei tantissimi caffè viennesi dove si fuma ancora: da trent’anni Kurt fa l’assistente sociale in uno dei quartieri più degradati della capitale austriaca.
Uno dei tanti quartieri colpiti dalle ultime, grandi ondate migratorie e abbandonati a un’integrazione faticosa. Quelli che una volta erano i fieri e rossi quartieri operai di Vienna, e che si stanno trasformando nelle roccaforti della rabbia nazionalista. Kurt non può neanche rivelarci il suo nome per intero.
I RISULTATI DEI DUE MAGGIORI PARTITI AUSTRIACI NEGLI ULTIMI 60 ANNI
Negli ultimi trent’anni la “Vienna rossa”, governata dall’immarcescibile Michael Häupl, si è crogiolata nell’immagine della città felice, riconquistata ad una qualità della vita stellare, secondo molte classifiche internazionali. Ieri il sessantaseienne, uno dei personaggi più influenti del partito socialdemocratico, ne ha preso provvisoriamente in mano le redini dopo la grave crisi politica provocata dalle dimissioni del cancelliere socialdemocratico Werner Faymann.
VITTORIA DELLA DESTRA IN AUSTRIA
I “rossi” sono arrivati quarti, al primo turno delle presidenziali; lo tsunami della crisi dei profughi ha ridotto le due Volksparteien che hanno dominato il quadro politico del dopoguerra a un quarto dei voti. Faymann ne ha tratto le conseguenze.
Nel frattempo, a Vienna, interi quartieri stanno passando armi e bagagli all’ultradestra di Heinz-Christian Strache. Il 22 maggio prossimo il favorito alle presidenziali è il suo candidato, Norbert Hofer. Se vincerà, anche Vienna continuerà a cambiare colore. Una prospettiva drammatica.
Perché mentre cominciano ad emergere i problemi di un’integrazione parzialmente fallita, aumentano le pressioni dell’ultradestra. Secondo i dati più recenti dell’Ufficio federale di salvaguardia della Costituzione, le aggressioni e i crimini di gruppi di estrema destra e neonazisti sono aumentati del 40% in un solo anno, in Austria. Una polarizzazione che in quartieri come quello dove lavora Kurt stanno già creando situazioni esplosive.
Uno dei nodi che stanno venendo al pettine è che la giunta socialdemocratica ha preferito spesso, come dimostra il caso di Kurt, spazzare i problemi sotto il tappeto. L’assistente sociale cinquantacinquenne non può dirci il suo nome per questo, «perché siamo obbligati a parlare bene dell’intergrazione, a nascondere ufficialmente i problemi, a raccontare la favola dei musulmani che si integrano».
Ma qualche crepa, ultimamente, è emersa. Un’inchiesta recente ha avuto l’effetto di una bomba sulla politica austriaca, già scossa dalla crisi migratoria dell’ultimo anno. Un professore di pedagogia viennese, Edna Aslan, ha rivelato in uno studio commissionato dal ministero dell’Interno l’esistenza di circa 150 asili islamisti, nella capitale.
Diecimila bambini vengono educati da gruppi di salafiti, dai Fratelli musulmani e da altre organizzazioni simili, ad introiettare i precetti dell’Islam più radicale. In questi asilo si parla quasi solo in arabo o turco, si insegna ad evitare la cultura pluralista europea, si impara a memoria il Corano, a disprezzare le donne. «A volte, per strada, questi ragazzini di cinque anni fermano le donne senza velo e le insultano», racconta Kurt.
In realtà, l’area attorno al mercato di questo distretto poco distante dalla stazione centrale somiglia a mille altri quartieri europei trasformati dall’immigrazione, case basse, negozi dalle insegne al neon o fosforescenti, anziani col capo coperto che chiacchierano gesticolando, donne col velo che passano veloci, studenti dall’aria indaffarata. Nulla di eclatante. Una volta, era il quartiere delle fabbriche di mattoni e dei panifici, ora gli operai e gli abitanti parlano altre lingue, molti vengono dall’Est Europa.
Josef Andrà gestisce un banco di frutta del mercato della piazza centrale, intitolata ad un grande socialdemocratico austriaco, Viktor Adler. La sua famiglia lo aprì nel 1871, ma le figlie vogliono fare l’università; quando andrà in pensione, Josef chiuderà il banco, dopo cinque generazioni. Ma il settantenne alza le spalle, sorridendo, «È la vita». E non è affatto infastidito dai suoi vicini egiziani, tunisini o turchi. Invece, è terrorizzato all’idea che si chiuda il Brennero: «Vede queste belle fragole? Vengono dall’Italia. Se bloccheranno il confine, dovrò raddoppiare il prezzo». Altro che profughi, sospira: «Per me sarebbe questa la fine dell’Europa».