BOSSETTI E SOSPETTI - NELL’INTERROGATORIO DI TRE ORE, L’EX “IGNOTO 1” ABBOZZA UNA SPIEGAZIONE PER IL SUO DNA SUI LEGGINS DI YARA: “PERDO SPESSO SANGUE DAL NASO. E’ CAPITATO CHE MI MACCHIASSI E CHE MACCHIASSI GLI ATTREZZI DI LAVORO CHE UNA VOLTA MI SONO STATI RUBATI”

Alla fine manca ancora la prova decisiva. Le analisi sulle sue auto e sui peli e capelli trovati accanto a Yara non sono ancora finite. Il profilo del perfetto colpevole corrisponde a molti su per queste valli. Bossetti aveva negato di frequentare il centro estetico vicino alla casa di Yara. A verbale corregge il tiro: “Posso aver detto qualche inesattezza...”...

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Fabio Poletti per “la Stampa

 

massimo giuseppe bossetti massimo giuseppe bossetti

Più che un interrogatorio uno sfogo. Dopo ventidue giorni nel carcere di via Gleno, Massimo Giuseppe Bossetti si siede davanti al pubblico ministero Letizia Ruggeri e per la prima volta parla. L’esordio è una promessa: «Signor giudice, da qui voglio uscire innocente». L’accusa che gli hanno incollato addosso la respinge con forza: «Su di me giornali e televisioni stanno raccontando solo falsità. Non ho una doppia vita. Amo la mia famiglia. Non potrei mai aver fatto del male a quella bambina, ha la stessa età di mio figlio...».


Tre ore dura l’interrogatorio nella saletta al piano terra del carcere sullo stradone che porta alle valli. Il magistrato lo incalza. La prima domanda non può che essere sul Dna del muratore di Mapello. Poche gocce di sangue mescolate a quello di Yara sui leggings della ragazzina ritrovata tre mesi dopo in un campo a Chignolo d’Isola. La compatibilità è del 99,99987%. Troppo per pensare a un semplice indizio. Massimo Giuseppe Bossetti ha qualche spiegazione: «Ci penso da settimane a questa cosa... Posso spiegarlo: lo sanno tutti che perdo spesso sangue dal naso. È capitato che mi macchiassi e che macchiassi i miei attrezzi da lavoro. Già una volta mi sono stati rubati...».

 

bossetti arrestato per l omicidio di yara gambirasio bossetti arrestato per l omicidio di yara gambirasio

Lo stabiliranno i periti in Corte d’Assise se la cosa è possibile. I suoi difensori Claudio Salvagni e Silvia Gazzetti chiedono che il test del Dna venga rifatto. Il processo sarà ancora lungo, ognuno si aggrappa a quello che può. L’avvocato Salvagni promette battaglia: «Questa è un’indagine pazzesca, non possiamo smontarla in una settimana. Il nostro cliente è sereno e determinato a dimostrare la sua innocenza».

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Alla fine manca ancora la prova decisiva. Le analisi sulle sue auto e sui peli e capelli trovati accanto a Yara non sono ancora finite. Il profilo del perfetto colpevole - muratore, le mani nella calce uguale a quella che hanno trovato addosso a Yara, le frequentazioni di Brembate così vicina a Mapello - corrispondono a molti su per queste valli. In un primo tempo Massimo Giuseppe Bossetti aveva negato di frequentare assiduamente il centro estetico così vicino alla casa di Yara. A verbale corregge il tiro: «Posso aver detto qualche inesattezza perché non pensavo che questo particolare fosse così importante...».


Il suo telefonino risulta spento alle sei meno un quarto di sera quando si spegne pure quello di Yara che in quel momento finisce nel buco nero di questa nerissima storia. Il muratore di Mapello giura di avere una giustificazione anche per questo: «Mi ricordo che quello che usavo allora aveva la batteria che si scaricava presto perché era vecchia. Quando sono arrivato a casa dal cantiere l’ho messo in carica e non l’ho più guardato fino al mattino dopo quando alle 7 e 30 ho fatto la prima chiamata».

 

Verosimile se non vero. Perché ci vorranno le analisi sui coni delle celle telefoniche per stabilire al centimetro dove si trovasse quella sera Massimo Giuseppe Bossetti, se a casa sua o troppo vicino a Yara, comunque sotto la stessa cellula telefonica.

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Dopo tre ore si chiude il verbale. Il magistrato torna in ufficio per l’ennesima riunione con gli investigatori. Al termine è il solito muro di gomma: «Non posso dire niente...». L’inchiesta va avanti. Accusa e difesa dopo la deposizione del muratore non segnano punti decisivi. Lui torna in cella e non si smuove: «Signor giudice a me interessano solo mia moglie e mia figlia. Sono una persona modesta, faccio una vita ritirata. E voglio dimostrare la mia innocenza». Ma la strada sarà ancora lunga. Silvia Gazzetti, l’altro difensore, lo sa bene: «Ha risposto a tutte le domande. Si è detto sempre innocente. Con forza e coraggio». 

 

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