IN CARCERE DIRETTAMENTE E SENZA PASSARE DAL VIA - IL BOSS DELLA 'NDRANGHETA USCITO PER L'EMERGENZA COVID RITORNA DIETRO LE SBARRE: NON HA RISPETTATO LE PRESCRIZIONI DEI GIUDICI E LE NORME SANITARIE - CARMINE ALVARO, DEL CLAN SINOPOLI, È STATO SORPRESO DAI CARABINIERI CON ALTRE TRE PERSONE IN CASA, UNA SI È NASCOSTA INUTILMENTE SOTTO IL LETTO. IL BOSS NON ERA AUTORIZZATO AD AVERE CONTATTI CON NESSUNO…

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Alessia Candito per repubblica.it

 

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Torna in carcere Carmine Alvaro, espressione di punta dell'omonimo clan di Sinopoli, fra i 498 detenuti per mafia e gravi reati finiti ai domiciliari da quando l’emergenza coronavirus è iniziata. Sessantuno anni, ma affetto da diverse patologie, era stato considerato fra i soggetti statisticamente a rischio in caso di contagio da Covid19, per questo il 21 aprile scorso i giudici lo avevano rispedito nella “sua” Sinopoli, con il divieto assoluto di avere contatti con chiunque che non fosse uno dei familiari conviventi. Neanche ventiquattro ore dopo, Alvaro è stato beccato a violare le prescrizioni.

 

Quando i carabinieri si sono presentati a casa sua per un controllo, lo hanno trovato in compagnia di altre tre persone, che lì non erano autorizzate a stare e con cui Alvaro non poteva parlare o avere contatti. E i tre lo sapevano, non a caso uno di loro ha tentato di beffare i militari, nascondendosi sotto il letto. Un tentativo tanto goffo quanto inutile.

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La doppia violazione di Carmine Alvaro  – che non solo ha ignorato le limitazioni alle comunicazioni previste dai giudici, ma anche le prescrizioni governative per la prevenzione del contagio in pieno lockdown – è stata immediatamente segnalata ai magistrati della procura antimafia di Reggio Calabria, che hanno chiesto e ottenuto che Alvaro tornasse in carcere. Arrestato nell’inchiesta Iris, Alvaro è un elemento di rilievo dello storico casato che da Sinopoli, piccolo paesino aspromontano, è riuscito a mettere le mani su appalti e lavori di tutta la provincia.

 

Affari discussi in veri e propri summit, monitorati per mesi dagli investigatori, che in presa diretta hanno ascoltato la spartizione di cantieri, appalti, subappalti, estorsioni e lavori fra le famiglie di ‘ndrangheta di un’area larga, che va da Reggio Calabria alla Piana di Gioia Tauro. Divisioni rigide, quasi da manuale Cencelli dei clan e che venivano sempre rispettate alla lettera, anche grazie a politici amici come l’allora sindaco di Delianuova, all’epoca per questo finito ai domiciliari.

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