Articolo di Claudia Saracco per www.linkiesta.it
da “Anteprima. La spremuta di giornali di Giorgio Dell’Arti”
L’ultima tendenza è l’ice delivery ovvero farsi portare il ghiaccio a casa, come fanno abitualmente bar e ristoranti. Ma in questo caso si tratta di piccole quantità e del piacere di mettere nel bicchiere il meglio che c’è. Perché, l’avrete già capito, il ghiaccio non è tutto uguale. Per prima cosa quello in vendita deve rispondere a precise regole dettate dall’INGA, l’Istituto Nazionale Ghiaccio Alimentare, e approvate dal Ministero della Salute.
Da tempo è possibile trovarlo anche nel reparto surgelati di alcuni supermercati e se non ci abbiamo fatto caso è perché questo genere di consumo, diffusissimo negli Stati Uniti, da noi non ha mai sfondato.
L’azienda leader in Italia nel ghiaccio alimentare confezionato è Ice Cube che in questi giorni ha scelto i punti vendita Eataly per lanciare due nuovi prodotti con packaging 100% green: Ice3 Cube, cilindri di ghiaccio puro ad alto rendimento, insapori, brillanti e pronti all’uso alimentare, e Ice3 Crushed, ghiaccio puro tritato e selezionato, cristalli pronti all’uso ideali per i cocktail pestati e frozen.
Per chi preferisce riceverlo direttamente a casa, Cocktail Dreams offre un servizio di delivery attivo ventiquattro ore su ventiquattro, weekend e festivi compresi. Volendo è possibile richiedere anche il servizio di open bar con professionisti specializzati, scegliere la drink list o crearne una su misura per il nostro evento.
dave arnold liquid intelligence. arte e scienza del cocktail perfetto
Tra le aziende che producono ghiaccio per grossisti, Gdo e ristorazione, molte hanno anche una divisione dedicata ai privati; tra queste, Ice factory che offre “un prodotto perfettamente trasparente e ideale per la conservazione dei cibi, per raffreddare i drink senza diluirli, per guarnire e decorare i piatti”, lo storico Ice Man (consegna minima 20 kg) e GhiaccioFacile che propone una duplice offerta di cilindri interi e ghiaccio tritato, tutti con consegna a domicilio per non restare mai sguarniti.
Roba da fissati? Non proprio. Senza arrivare ai cubetti superlusso intagliati a mano, il ghiaccio pronto trova le sue ragion d’essere nella composizione priva di cloro e batteri, assolutamente sicura dal punto di vista alimentare e, cosa che non guasta, nella resa estetica che come vedremo tra poco è anche sinonimo di alta qualità. Se ne può fare a meno? Sì, a patto di essere bravi e tanto pazienti da far tutto da soli, a regola d’arte ovviamente.
Eppure sembra la cosa più semplice del mondo. Cosa ci vorrà mai? Basta mettere la vaschetta sotto il rubinetto, riempirla d’acqua fino all’orlo e, unico passaggio critico, coprire la distanza che va dal lavandino al congelatore senza versarla sul pavimento. A meno di non usare un modello con coperchio e benedire chi ha inventato queste vaschette che apprezziamo moltissimo d’estate.
il ghiaccio di casa non e' trasparente
Per capire il fenomeno del ghiaccio “professionale” bisogna ripartire dal primo step: l’acqua del rubinetto. Quella che di solito usiamo per cucinare non è adatta a diventare ghiaccio da cocktail per due motivi: contiene una percentuale di impurità ed è ricca di ossigeno che viene miscelato al flusso per ridurre i consumi idrici.
Cloro e sali minerali incidono sul sapore complessivo della bevanda mentre l’ossigeno accelera i tempi di scioglimento, annacquando il risultato finale. Non solo, la sua presenza peggiora la resa “estetica”: imprigionato nel ghiaccio l’ossigeno si coagula in minuscole bollicine che lo fanno diventare bianco. Ragione per cui i cubetti home made risultano opachi mentre quelli professionali perfettamente trasparenti.
C’è anche una seconda ragione, più tecnica, alla base di questa imperfezione. Si chiama congelamento direzionato come spiega con dovizia di particolari Dave Arnold nel libro “Liquid Intelligence. Arte e scienza del cocktail perfetto”. Semplificando: l’acqua che mettiamo nel congelatore si solidifica a partire dall’esterno verso l’interno spingendo le impurità al centro del cubetto e mantenendole visibili.
Per contrastare questo fenomeno bisognerebbe fare in modo che il freddo arrivi solo dall’alto perché in questo modo le impurità verrebbero concentrate verso il basso. Operazione complessa che volendo è possibile riprodurre anche a casa, mettendo la vaschetta piena d’acqua sul fondo di una borsa frigo e versando al suo interno una quantità d’acqua tale da coprire interamente la vaschetta. Il tutto andrebbe poi messo in freezer (sempre che ne abbiate uno tanto grande da contenere la borsa frigo).
Se vi sembra troppo laborioso, come effettivamente è, ci sono kit domestici fatti apposta per agevolare l’impresa e servire un whisky da manuale nel vostro salotto con tanto di cubetti extra light. Per un risultato professionale, l’acqua dev’essere una oligominerale oppure una semplice acqua di rubinetto decantata in una caraffa dotata di filtri.
Per chi volesse intraprendere la strada dell’autoproduzione o culla il sogno di diventare bartender, Internet è il paese di Bengodi dove trovare ogni cosa si possa desiderare: oltre agli strumenti per la miscelazione, nelle declinazioni più diverse comprese quelle vintage, c’è l’imbarazzo della scelta di macchine per il ghiaccio in grado di produrre in pochi minuti una grande quantità di cubetti di diversa grandezza, compreso un modello programmabile per averlo pronto al momento giusto, ogni genere di stampi per personalizzare i drink e kit rompighiaccio per chi voglia cimentarsi a mano libera nell’arte dell’ice carving, antica tecnica recentemente tornata di moda che consiste nel frammentare blocchi interi creando le forme più diverse.
Perché, come insegnano i cultori della materia, il ghiaccio è un ingrediente a tutti gli effetti ed “è per il bartender quello che le fiamme sono per lo chef”. Ogni preparazione esige il suo, basta dare un’occhiata all’offerta di Brema Ice Makers tra cubetti classici (standard e maxi), Ice finger, cold flakes… L’ultima moda è la sfera di ghiaccio dello stesso diametro del bicchiere, perfettamente trasparente; ne basta una e sostituisce i classici cubetti, pieni o cavi, serviti abitualmente nei drink on the rocks e nei long drink.
Regola aurea: più ghiaccio c’è più lentamente si scioglierà a contatto con l’alcool, mentre se succede il contrario si rischia che il cocktail si riscaldi in fretta risultando annacquato (e questa è la ragione per cui è sbagliato chiedere di avere meno ghiaccio nel bicchiere, pensando che il barista voglia lesinare sull’ingrediente più costoso). Se nonostante tutto ci sembra che ci sia ancora troppo ghiaccio, probabilmente è colpa dei bicchieri, in genere più grandi rispetto a quelli usati qualche anno fa.
Nei drink shakerati i cubetti devono riempire circa tre quarti del contenitore; è importante anche raffreddare il bicchiere, riempiendolo con del ghiaccio prima di iniziare a shakerare per poi toglierlo nel momento in cui si riempie. Alcuni professionisti amano lasciare la loro firma, imprimendo sui cubetti il logo del locale o il loro nome. Nei cocktail pestati e in quelli frozen si usa il ghiaccio crushed, quello frantumato grossolanamente per evitare che si sciolga troppo rapidamente. A proposito, perché a temperatura ambiente si sciolga è una complessa questione di termodinamica, da affrontare quando si è perfettamente sobri. Chimica e fisica si incontrano nel bicchiere: «Pensate come uno scienziato e i vostri drink saranno di gran lunga migliori» è il mantra del guru Dave Arnold.
E se proprio non si possiedono capacità mixologiche né il guizzo del consumato bartender, si può sempre servire un cocktail già pronto in busta, con il duplice vantaggio di avere una preparazione perfettamente dosata senza la sfilza di bottiglie pregiate che rischiano di invecchiare una volta aperte. Il tocco d’artista sarà la nostra sfera di cristallo, pazientemente autoprodotta o fatta recapitare a casa. Perché la classe non è acqua, ma purissimo ghiaccio.
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