Giovanni Sallusti per “Libero quotidiano”
Uno dei dogmi fondamentali della neoreligione politicamente corretta recita: le vittime non sono tutte uguali. Perché, in realtà, all' origine non lo sono i carnefici. Non è nostra esagerazione titolistica, è doppiopesismo quotidiano, e lo verifichiamo anche in queste ore.
Primo tempo, poco più di un mese fa, Colleferro, provincia italiana. Un branco di immondi delinquenti aggredisce Willy Monteiro Duarte, 21 anni, lo massacra di botte, lo lascia per terra. Willy, purtroppo, muore. Sacrosanto sentimento di rivolta nazionale, doverosa onnipresenza della notizia su tutti i media, che però viene piegata istantaneamente in funzione del suo commento unico, prestampato, copia&incollato.
In sintesi, ed è stato davvero un secondo scempio del corpo di Willy: il ritorno del fascismo. Perché la vittima è di colore, e i carnefici erano frequentatori delle fascistissime "palestre" (non è una burla, il nesso tra il tapis ruolant e il Ventennio lo teorizzarono in coro i giornaloni, e del resto lo ha ribadito ancora recentemente Paolo Berizzi di Repubblica). Secondo tempo, ieri, Lanciano, provincia italiana.
Un branco di immondi delinquenti aggredisce Giuseppe Pio D' Astolfo, 18 anni, lo massacra di botte, lo lascia per terra. Giuseppe è ricoverato in coma, prognosi tuttora riservata, condizioni gravissime. Il branco ha messo in pericolo il suo bene supremo, la vita, se alla fine se la caverà sarà soltanto perché ha avuto più fortuna, materia insondabile, del povero Willy.
VIOLENZA SELVAGGIA
La scena di violenza selvaggia, elementare e futilissima (Willy voleva difendere un amico, Giuseppe ha chiesto ai suoi picchiatori di abbassare la musica che stavano ascoltando) è analoga.
L' indignazione, la copertura mediatica, la corsa a partecipare alla seduta di terapia sociologica di massa no. Il dramma di Giuseppe è un dramma minore, un B-movie nel grande circo giornalistico e televisivo, ha un difetto irreparabile nella sceneggiatura: sono sbagliati i ruoli della storia.
Sì, perché i carnefici sono rom. Cinque, appartenenti a una stessa famiglia, tre minorenni (quello che avrebbe sferrato il pugno decisivo addirittura tredicenne), un diciottenne e un trentenne, questi ultimi con precedenti e già noti alle forze dell' ordine, come tocca troppo abitualmente annotare in casi del genere. Li hanno identificati i Carabinieri, al momento sono denunciati, per lesioni personali gravi o per concorso in tale reato, ma a piede libero.
Soprattutto, sono assenti dal resoconto, dal dibattito, dagli stessi fatti. Il Corriere della Sera ieri ha riportato in prima pagina la notizia della "baby gang delle botte al 18enne", riuscendo nell' epica impresa di non scrivere la parola "rom" né nel titolo né nell' occhiello.
Nel corso della giornata quasi tutti i siti hanno parlato di "cinque ragazzi del luogo", con procedura tipica della censura politically correct: non hanno detto il falso, hanno semplicemente omesso un elemento di notizia sgradito per le tabelle ideologiche dominanti (l' appartenenza del branco alla comunità rom, e non a un gruppo di pesisti di destra) per quanto fondamentale.
Senz' altro più saliente dei "muscoli, tatuaggi e bella vita" degli accusati del bestiale omicidio di Willy, su cui per giorni indugiarono cronisti mediocri, politici avvoltoi, psichiatri engagé come Massimo Recalcati, che arrivò a (stra)parlare di "esaltazione paramilitare e fascistoide del corpo forte e vigoroso". Nel caso di Lanciano, quindi, dovremmo tirare in ballo "l' esaltazione criminale e zingara" del corpo forte e vigoroso, o qualcosa del genere.
DUE PESI
la mamma di giuseppe pio d astolfo
Ma la verità è che sul calvario di Giuseppe Pio D' Astolfo no, non si può fare sociologia. Perché si rischierebbe di evocare l' irrisolto della comunità rom, la diffusione presso di essa di pratiche criminali, l' educazione a cui sono sottoposti i suoi giovani e fin giovanissimi, che spesso coincide con l' educazione alla violenza, l' abitudine a vivere in una zona franca dalla legge. Meglio girare al largo, e applicare il vecchio teorema di Orwell riadattato alla cronaca nera: alcuni pestaggi sono meno pestaggi degli altri.
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