COME SI CURA L'EPATITE C IN ITALIA? SI VA IN INDIA - LA CURA ESISTE, MA DA NOI NON SI TROVA, ''PERCHÉ COSTA TROPPO. INVECE A NUOVA DELHI CON 2MILA EURO TI SALVI LA VITA'', RACCONTA ARNALDO, CHE È ANDATO DALL'ALTRA PARTE DEL MONDO PERCHÉ IL GOVERNO ITALIANO ''PREFERISCE PAGARE IL PONTE SULLO STRETTO''

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Andrea Malaguti per “la Stampa

 

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«H o fatto la cosa più ovvia: per curare l' epatite C sono andato in India, ad Hyderabad, e mi sono comprato i farmaci». Benissimo. Ma è legale? «Dipende da chi incontri alla dogana quando rientri in Italia. Però è giusto. Si guarisce e si risparmiano un sacco di soldi. Il governo non affronta il mio problema e io mi sono arrangiato. Qualcuno può dire che ho fatto male?». Bella domanda.

 

Arnaldo Carusi (nome finto) ha poco più di 60 anni, vive in Piemonte e raccontando la sua scelta a metà strada tra la scorrettezza e il colpo di genio lotta invano con se stesso per arginare il fiume di parole che gli esce dalla bocca. Ingiustizia. Follia. Violenza di Stato. Persino cretinaggine. «Sono questi i sentimenti che mi sono portato addosso per 25 anni assieme alla malattia». Che c' era. E adesso non c' è più.

 

Per farla sparire ha investito poco meno di duemila euro e se si fosse rivolto a San Marino, a Città del Vaticano o fosse andato in giro per l' Europa ne avrebbe spesi venti volte di più.

 

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E in Italia? «Nelle farmacie la cura non si trova e i medici ti portano avanti con dei succedanei che non sconfiggono l' epatite ma la controllano. A meno che tu non sia in pericolo di vita. In questo caso il servizio sanitario interviene gratuitamente». E risolve. Perché il farmaco che seppellisce l' infezione epatica esiste, solo che costa troppo.

 

Almeno a sentire il Tesoro, che giura di non avere ancora abbastanza soldi per tutti ma di voler debellare la malattia entro due anni. Nel frattempo su duecentomila persone colpite dall' epatite C (è una stima decisamente al ribasso, numeri ufficiali non esistono), 50 mila sono state prese in carico dallo Stato, centocinquantamila no. Vivacchiano.

 

Sperando che la malattia, cronica, non peggiori, perché quando succede il fegato va in pappa e a cascata si rischiano altre venticinque patologie, dall' encefalopatia al tumore. «Ma perché uno deve aspettare di essere sulla soglia del tracollo? Io ragiono in modo semplice: se pago le tasse ho diritto alle terapie. Invece no, il governo mette i soldi altrove.

Magari sul ponte di Messina. E noi?». Già, loro. Perché il modo semplice di ragionare di Carusi non funziona?

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Una multinazionale americana, dopo un investimento di 11 miliardi, ha trovato e prodotto il farmaco che chiude la partita e lo ha messo in commercio con l' obiettivo ovvio di guadagnare.

 

Ai Paesi più ricchi lo fa pagare di più a quelli con un prodotto interno lordo più basso lo fa pagare di meno. In Europa un ciclo di tre mesi costa mediamente 60mila euro e un cittadino francese o spagnolo può decidere, magari accendendo un mutuo, di andare in farmacia e comprarselo per conto proprio quando lo Stato non è in grado di intervenire. In Italia neppure quello.

 

Il ministero ha fatto un accordo con la multinazionale Usa che gli consente di acquistare i cicli di terapia a prezzi convenienti e secondo Ivan Gardini, presidente dell' Associazione EpaC onlus in queste condizioni basterebbe fare uscire dalle casse del governo 600 milioni per curare l' intera platea dei malati.

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In Portogallo, dove lo Stato garantisce il farmaco a tutti, hanno calcolato un risparmio di spesa sui costi legati alle complicazioni dell' epatite C di 400 milioni di euro (5.170 morti premature evitate, 482 trapianti di fegato evitati, 2920 tumori evitati) su un totale di 17 mila pazienti. Il Tesoro la vede in modo diverso e il fenomeno del turismo farmaceutico è esploso.

«Solo noi abbiamo contato 1500 casi», dice Gardini. Uno è quello di Carusi, archetipo del pasticcio. Torniamo a lui, allora.

 

«Ho preso la malattia dal dentista e negli anni Novanta ho cominciato a curarmi con interferone e ribavirina. Un mese e stavo malissimo. Ho dovuto smettere. Per fortuna la mia epatite non è aggressiva e me la sono cavata con analisi ogni tre mesi e farmaci di sostegno». Poi quella che Carusi chiama «la scoperta del secolo»: l' harvoni. Un farmaco che ha un' efficacia prossima al 100%. «Mi sono buttato su internet per capire come procurarmelo».

 

 L' ha capito. Il principio attivo del farmaco viene venduto in Egitto, Ucraina e India a prezzi incomparabilmente più bassi di quelli europei: 300 euro a flacone. Per una cura completa ne servono tre. «Ho pensato di andare al Cairo. Ma ho scoperto che in Egitto lo danno solo ai residenti. Perciò ho scelto l' India e Hyderabad dove la multinazionale americana ha aperto una propria fabbrica di fianco all' ospedale». È stato complicato?

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«Facilissimo». È bastata una mail. Testualmente: ho l' epatite C, mi serve il farmaco. Risposta: ci giri una ricetta e glielo spediamo. Ma comprare farmaci on line è pericoloso, persino stupido.

 

«Esatto. Sono andato di persona.

Temevo una truffa e soprattutto che alla dogana avrebbero bloccato i pacchi. Ho trovato un aereo e una sistemazione per dormire: spesa totale 600 euro». A quel punto è andato dalla sua epatologa. «Mi seguiva da vent' anni, le ho chiesto una ricetta in bianco. Mi ha risposto: non posso. Ci sono problemi di assicurazione e poi devo rispondere all' ospedale. Meglio se aspetti».

 

Solo che Carusi non voleva aspettare. «Ma come, vent' anni fa mi dicevano prendi l' interferone e oggi mi dicono aspetta? A volte penso che i medici siano complici». In giugno, è partito per Hyderabad utilizzando la ricetta di un medico con meno perplessità. «Sa quanto ci ho messo a risolvere la pratica?».

No. «Un quarto d' ora». Si è presentato alla farmacia dell' ospedale e ha fornito la ricetta. In cambio gli hanno dato i flaconi.

Spesa totale novecento euro.

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«Ho infilato tutto in un trolley e sono ripartito per l' Italia, però facendo scalo a Monaco. Lì la polizia mi ha fermato. Cosa sono questi farmaci? Mi servono per curare l' epatite. Mi hanno lasciato andare, in Germania - la nostra stessa Europa - se uno vuole curarsi lo può fare, da noi un doganiere ti può fare delle storie perché non puoi portare farmaci, anche se per uso personale, che abbiano un trattamento superiore ai trenta giorni. Da Monaco ho preso il treno, sono tornato qui e ho cominciato la cura.

La finisco tra dieci giorni». E oggi come sta? «Guarito. Già dopo un mese era scomparso tutto. E allora mi chiedo: perché lo Stato ci tratta in questo modo?».

 

 

 

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