Gabriele Carrer per “La Verità”
Gli acquisti di test molecolari (Pcr) nella provincia cinese dell'Hubei, dove si sono registrati i primi casi di Covid-19, sono cresciuti sensibilmente diversi mesi prima che le autorità parlassero ufficialmente del nuovo coronavirus.Nel 2019 sono stati spesi per i tamponi circa 67,4 milioni di yuan (pari a 9 milioni di euro), quasi il doppio rispetto al 2018. Il numero di contratti è cresciuto da 89 a 135.
L'aumento degli acquisti è iniziato a maggio, con una brusca crescita tra luglio e ottobre, trainata da quattro enti: l'ospedale dell'aviazione dell'Esercito popolare di liberazione, l'Istituto di virologia di Wuhan, l'Università di scienza e tecnologia di Wuhan e i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie dell'Hubei.Sono i risultati di un rapporto dal titolo piuttosto sinistro, Procuring for a pandemic (cioè Acquisti per una pandemia), pubblicato da Internet 2.0, società con sede a Barton, un sobborgo della capitale australiana Canberra, ma anche ad Alexandria, in Virginia, a pochi chilometri dalla capitale federale statunitense Washington.
A capo di Internet 2.0 ci sono due amministratori delegati: Robert Potter, inventore della tecnologia su cui si basa l'azienda, ex capo delle operazioni cyber del colosso aerospaziale britannico Bae Systems, già consigliere del governo ombra australiano e funzionario del dipartimento di Stato americano; e David Robinson, ex funzionario dell'intelligence australiana. Nel comunicato consultivo spicca il nome di Christopher Painter, tra i massimi esperti mondiali di sicurezza cibernetica, primo cyberdiplomatico al mondo nominato dall'ex presidente statunitense, Barack Obama.
hubei women and children hospital traffico a confronto ottobre 2018 vs 2019
Internet 2.0 ha raccolto e analizzato i dati da un sito Web che aggrega informazioni sugli appalti pubblici in Cina. I risultati dell'indagine, già contestati dal ministero degli Esteri di Pechino, gettano nuove ombre sulla linea ufficiale del governo cinese sull'origine del virus, tema che ha alimentato forti tensioni con i Paesi occidentali e i loro alleati nell'Indo-Pacifico, a partire dall'Australia.
I test molecolari hanno altre applicazioni oltre a quelle per il Covid-19. Ma il rapporto sostiene che l'insolita impennata sia la prova che della consapevolezza che una nuova malattia si stava diffondendo a Wuhan e dintorni. Perché? Gli ordini sono raddoppiati dalle università, quintuplicati dal Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, decuplicati dagli uffici di sperimentazione animale ma diminuiti di oltre il 10% dagli ospedali.
Con «alto tasso di fiducia» gli analisti di Internet 2.0 ritengono così che la pandemia Covid-19 sia «iniziata molto prima che la Cina informasse l'Organizzazione mondiale della sanità», il 31 dicembre 2019 (relativamente a un caso sintomatico registrato l'8).
Secondo Akira Igata, professore della Tama Graduate School of business di Tokyo, «non possiamo concludere con certezza» che il Covid-19 sia stato registrato prima della comunicazione basandoci soltanto sui dati degli appalti pubblici. Ma «è un'informazione solida per sostenere che ci fosse la consapevolezza di un focolaio di virus intorno a Wuhan diversi mesi prima».
«Questo rapporto potrebbe dare l'opportunità ai Paesi di premere nuovamente sulla Cina per avere informazioni», ha detto il professore.Perché quel ritardo e quella «trasparenza zero» che, secondo Robinson, uno degli autori del rapporto, «ha alimentato un sacco di ipotesi, teorie, disinformazione, così come il dolore delle vittime»? Neppure l'indagine richiesta dall'intelligence dal presidente statunitense Joe Biden ha risolto il dilemma sull'origine del Covid-19: è scappato da un laboratorio, quello di Wuhan, o è di origine animale?
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