Federico Del Prete per "it.businessinsider.com"
Chi di voi – sia mamma sia papà – non ha mai sacramentato per un seggiolino? Ormai grandi come la poltrona del nonno, questi indispensabili accessori sono da tempo l’incubo dei genitori – nel caso siano automobilisti, ovviamente. Ce la farete anche la prossima volta a completare il magico incastro? Mentre il pargolo si dimena come un’anguilla, magari strillandovi nell’orecchio, imbroccare la fibbia al di là del seggiolino può richiedere la stessa Forza invocata da un Jedi nelle sue imprese oltremondane.
È antipatico, ma è obbligatorio: quasi ovunque nel mondo, tranne in larga parte di Asia e Africa. Disegnato per proteggere i bambini dagli impatti, sembra che il seggiolino finisca – in modo del tutto involontario – per non farne nascere. Sulla base di analisi demografiche rivolte a indagare la crisi di natalità negli Stati Uniti, ancora più acuta a causa della pandemia, gli studiosi di quel paese hanno individuato nell’obbligatorietà del seggiolino uno dei motivi che limitano la decisione delle famiglie di avere più di due figli.
Da noi in Italia il dibattito sui seggiolini è praticamente confinato nelle incalzanti classifiche del modello migliore da acquistare, o ai bambini involontariamente abbandonati nell’abitacolo (altrove: forgotten baby syndrome). Oltreoceano sono andati invece avanti, in modo molto disinvolto. Uno studio (2020) condotto da due economisti del MIT e del Boston College – Carroll School of Management, Jordan Nickerson e David H. Salomon, ha verificato come l’impossibilità di installare il terzo omologatissimo seggiolino in un’automobile di dimensioni normali alzi significativamente i costi da sostenere per avere un terzo figlio, al punto da ridurre la possibilità di averne. Lo studio ha il significativo titolo di Car Seats as a Contraception (i seggiolini come contraccettivo).
Incrociando i dati demografici dei censimenti con le restrizioni progressivamente introdotte dal 1977 a oggi in materia di sicurezza dei bambini nelle automobili, Nickerson e Salomon hanno stimato che le donne con due figli in età da seggiolino per auto hanno una probabilità annua di parto inferiore dello 0,73% rispetto alla media. Questo effetto è necessariamente limitato alla nascita del terzo figlio nelle famiglie con accesso al possesso di un’automobile, ed è tanto maggiore quanto più è probabile che entrambi i sedili anteriori siano occupati (cioè nel caso di un partner presente nel nucleo familiare, quindi anche nei suoi spostamenti quotidiani).
I ricercatori hanno calcolato che nel corso del 2017 le leggi USA relative all’uso del seggiolino abbiano portato a una riduzione permanente di circa 8.000 nascite, a fronte di sole 57 vittime infantili in meno causate da incidenti automobilistici. Il calo nella natalità dal 1980 a oggi ammonta invece a ben 145.000 nascite in meno, con il 90% di questo calo concentrato dal 2000 in poi, anno di ulteriori restrizioni.
Quella del seggiolino è ovviamente solo una delle tante cause del calo demografico, un fenomeno che abbraccia tutti paesi ad alto reddito, Italia compresa. Anche negli Usa il calo demografico è una tendenza di lungo periodo, che la pandemia non ha fatto che accentuare, come abbiamo visto. Attualmente il tasso di fertilità è a 1,7 – ovvero quasi due figli per donna fertile nell’arco di una vita, mentre durante il baby boom seguito alla Seconda Guerra era di 3,7.
È anche ovvio che ci sono persone che potrebbero permettersi automobili più grandi, o un pulmino, senza per questo desiderare di avere il terzo figlio o anche nessuno, ma l’ostacolo di dover cambiare automobile per farci stare un altro figlio non si para solo davanti alle famiglie non benestanti. Anche solo il pensiero di dover impegnare la cifra necessaria per un SUV o un minivan – e il costo del terzo seggiolino, oltre alla scomodità in sé di gestire tre o più minori in automobile può esserlo, secondo i ricercatori. Sono tutti costi molto inferiori al totale della gestione di un figlio; ciò nonostante, possono avere la loro influenza.
Secondo i risultati della ricerca, che è stata ampiamente commentata dagli autori e da altri economisti in un podcast della “radio” di Freakonomics, i seggiolini sono responsabili dello 0,0076% del calo delle nascite, pari a 0,01 figli per donna. Se però consideriamo il sottoinsieme dei genitori che si affacciano al terzo figlio, quella cifra assume i contorni di un vero crollo della natalità, nell’ordine del 7,8%. Ripetiamo: dal 1980 ad oggi i non nati a causa delle leggi per i seggiolini sarebbero stati 145.000, su un totale di circa 150 milioni di nascite. È poco? Certamente non pochissimo, ma la cosa interessante, ha affermato Solomon a Freakonomics, è che questo effetto di controllo delle nascite è avvenuto in modo totalmente involontario – e finora inimmaginabile, aggiungiamo noi.
Ma che cos’è realmente un seggiolino per bambini? La cosa da cui partire per capirlo meglio è che i sedili posteriori di un’automobile, pur essendo nella maggior parte dei casi utilizzati da minori, hanno dei dispositivi di sicurezza – le cinture – pensati per i grandi. La storia delle cinture è interessante: quando furono per la prima volta introdotte, negli anni Cinquanta del Novecento, i costruttori di automobili erano restii a adottare qualcosa che implicitamente accentuava la pericolosità dei loro prodotti.
Sappiamo com’è andata: le cinture hanno salvato, a fronte di un costo modesto, innumerevoli vite. Resta però il fatto che nessuno si sentirebbe sicuro a dover assicurare il proprio figlio al sedile con cinture fatte per gli adulti; nel caso, ovviamente, che questa consapevolezza ci sia. L’incidentalità elevata ha quindi prodotto il seggiolino, da usare in sinergia con la cintura esistente. Vedendola cinicamente, il seggiolino è un dispositivo che ha in qualche modo sollevato le case automobilistiche dal doversi occupare di una notevole fetta della loro utenza, regalando così ad altri soggetti una vera miniera d’oro.
Prima che si sapesse di un loro effetto contraccettivo, a riflettere sulla reale efficacia dei seggiolini è stato proprio uno dei due autori di Freakonomics – il best-seller (2009) che ha cambiato la visione dell’economia del quotidiano: Steve Levitt, della University of Chicago, che ha molto studiato la sicurezza automobilistica. A una prima analisi, non sembravano infatti esserci grandi differenze nelle conseguenze di incidenti tra bambini assicurati solo con le cinture e quelli correttamente agganciati ai seggiolini.
Analizzando i meticolosi rapporti degli incidenti con vittime della NHTSA (National Highway Traffic Safety Administration) e quelli di altri enti relativi a incidenti non mortali, l’economista arrivò alla conclusione (2005), successivamente confermata anche insieme a Joseph J. Doyle del MIT (2008), che in caso di rischio di morte o di lesioni gravi il seggiolino offre una protezione molto simile rispetto alle cinture, mentre dona un 25% in più di possibilità di ridurre i rischi lievi, risultato ulteriormente confermato (2015) anche da un’altra ricerca di due studiosi della Cornell University.
Com’è possibile che delle inadeguate cinture per adulti ottengano lo stesso risultato di seggiolini appositamente progettati per i bambini? Levitt andò quindi a studiare i crash test necessari all’omologazione dei seggiolini, trovando che non esistevano collaudi comparati tra manichini fatti impattare su seggiolini e altri legati solo con cinture. Insieme al futuro co-autore di Freakonomics, Stephen J. Dubner, decise quindi di fare dei crash test comparativi in autonomia, pubblicati poi sul The New York Times. Ebbero grandi difficoltà a trovare il laboratorio, perché nella stragrande maggioranza dei casi quei laboratori lavoravano proprio per i fabbricanti di seggiolini, che non avrebbero voluto sentirsi dire che i loro prodotti offrivano un livello di sicurezza equivalente a quella di semplici cinture di sicurezza.
Trovato finalmente un laboratorio disponibile, a patto che si mantenesse l’anonimato, i dati dei crash test condotti con manichini di bambini di tre e sei anni confermarono le stesse conclusioni dei database consultati per la ricerca accademica: i manichini legati con le cinture di sicurezza avrebbero potuto passare il test di conformità come se fossero stati seduti sui seggiolini.
Dando quindi retta alla ricerca di Steve Levitt, i seggiolini per auto non sono solo un dispositivo di sicurezza dall’efficacia comparabile alla loro assenza, ma – pensando alla ricerca di Jordan Nickerson e David Solomon – agiscono di fatto anche come contraccettivo. Totale: per ogni bambino salvato dall’obbligatorietà dei seggiolini, non ne sarebbero nati tra i 57 e i 141. Quello sull’efficacia delle leggi che rendono obbligatori i seggiolini negli USA è un dibattito molto vivo, da almeno quindici anni a questa parte.
La sensazione che può suscitare questo meticoloso percorso di consapevolezza, solo genericamente confrontabile con la realtà europea, è quello di un notevole sconcerto. Che cos’è davvero la sicurezza stradale? Dipende dalle cose, o piuttosto dalle persone? Non è certo questa la sede per un risposta esaustiva. Sorgono spontanee anche altre domande: se un seggiolino può avere effetti contraccettivi, cosa potrebbe aver comportato – sia in positivo, sia in negativo – la diffusione della connettività o della climatizzazione, tutte dotazioni non soggette a controllo legislativo? E, ad esempio, il ritardo europeo nell’obbligatorietà di altre dotazioni, come nel caso del limitatore di velocità ISA (intelligent speed adaptor)?
Per tornare al tema dei seggiolini, proviamo però a dare qualche dato relativo all’Italia. Secondo il rapporto Incidenti stradali in Italia di ISTAT (dati 2019), sulle strade urbane, extraurbane e sulle autostrade è in aumento il mancato uso di cinture di sicurezza e sistemi di ritenuta per bambini (Art. 172 CdS), con un totale di 257.234 contravvenzioni elevate dalle forze dell’ordine (+26,75% in media). In un anno le vittime tra 0 e 14 anni sono state 35, i feriti 11.089. In assenza di analisi comparative come quelle statunitensi, è però difficile stabilire la correlazione tra il mancato rispetto dell’Art. 172 e queste fatalità.
Comunque sia, siamo ancora lontani dalla Vision Zero invocata dalla UE in fatto di sicurezza stradale, così come da un uso responsabile sia dell’automobile, sia dello spazio pubblico.
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