DO YOU SPEAK ENGLISH? - SPENDIAMO OGNI ANNO 225 MILIONI DI EURO PER IMPARARE LE LINGUE EPPURE SIAMO AL PENULTIMO POSTO IN EUROPA PER COMPETENZA LINGUISTICA - DAI FILM DOPPIATI ALLE LEZIONI A SCUOLA, DAI VIAGGI STUDIO ALL’ETA’ MEDIA DEI DOCENTI: ECCO COSA NON FUNZIONA

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Raffaele Oriani per “il Venerdì - la Repubblica”

 

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La scena è impietosa. L'11 gennaio la rivista Politico.eu organizza un dibattito tra i candidati alla presidenza del Parlamento europeo: due belgi, un' inglese, un romeno, tre italiani. I "nostri", tutti, sono gli unici ad aver bisogno dell'interprete. Ma se a Bruxelles siamo l' eccezione, in patria l' avversione all'inglese accomuna eletti ed elettori: c'è la pronuncia "creativa" del ministro degli Esteri Angelino Alfano, l'eloquio precario dell' ex premier Matteo Renzi, l' italiano impeccabile con cui il pentastellato Luigi Di Maio si fa intervistare dalla Cnn.

 

Da non credere: l' ultima rilevazione della multinazionale delle lingue EF ci relega al penultimo posto in Europa quanto a competenza in inglese. Dopo bosniaci, romeni, slovacchi, prima solo dei francesi. E sì che, sostiene EF, chi parla meglio l' inglese innova di più, guadagna di più, pare pure che sia più longevo. Ma perché facciamo tanta fatica? Secondo Eurostat alla scuola primaria studia inglese il 97,6 per cento dei bambini italiani, contro poco più di un olandese o danese su due.

 

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Ci impegniamo come nessuno, parliamo peggio di tutti. Una ragione ci sarà. Dal 2003 in tutta Italia l'inglese è obbligatorio dalla prima elementare, mentre il 98,4 per cento degli allievi delle medie studia addirittura due lingue. Perché allora una ricerca di Wall Street English calcola in 225 milioni di euro il mercato italiano delle lingue, mentre il colosso Berlitz parla addirittura di un miliardo? Le famiglie italiane non si fidano dell' inglese a scuola.

 

Probabilmente a ragione: «Per noi è più facile insegnare ai piccoli di tre anni che a quelli di sette» assicura la responsabile di un network privato. «Perché a scuola i bambini assorbono difetti di ogni tipo». C'è il manager olandese scandalizzato dall' insegnante d'inglese che si rifiuta di parlargli in inglese (che pretesa! ) di suo figlio; e c'è l' addetta d'ambasciata orientale furente perché «in cinque anni di scuola pubblica mio figlio ha imparato quanto in due mesi di scuola privata».

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Dalla primaria al diploma qualcosa proprio non va: «Alle superiori il nemico principale è la noia» ci dice Silvia Mocchi, docente d'inglese in un Istituto tecnico di Monza e referente dell'associazione per lo scambio scolastico Intercultura. «I ragazzi escono dalle medie con scarse competenze ma ben otto anni di esercizi alle spalle: il risultato è che parlano poco e non ne possono più».

 

Pensando al nostro Mezzogiorno, Giorgio Bocca si lamentava che le eccellenze a macchia di leopardo non facessero mai un leopardo intero. Ecco, secondo Margaret Fowler del British Council di Milano, l'insegnamento dell' inglese negli ultimi dieci anni «è migliorato enormemente», mentre per Peter Brown, fine anglista e fondatore dell'Associazione italiana scuole di lingue (Aisli), nello stesso periodo si sono fatti «passi da gigante».

 

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Gli italiani certificati Cambridge (la patente internazionale di anglofonia) sono stati un milione negli ultimi cinque anni, mentre i connazionali che dichiaravano di parlare una lingua straniera erano 4 su 10 nel 2005, ma già 6 su 10 nel 2011. Segnali incoraggianti. Ma il leopardo ancora non c'è: da un lato il nostro inglese resta tra i peggiori d' Europa, dall' altro si deve spesso al sacrificio delle famiglie.

 

Secondo una ricerca Berlitz, il 59 per cento dei genitori italiani, contro il 35 dei tedeschi, è «molto interessato» a iscrivere i propri figli a un corso extra-scolastico: lo sanno bene proprio alla Berlitz, dove in anni di crisi sono crollati i corsi aziendali ma non hanno mai smesso di crescere quelli per bambini e ragazzi.

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C'è un indicatore che più di altri misura la rincorsa delle famiglie italiane all' inglese come si deve: siamo i primi clienti delle scuole di lingua sia in Gran Bretagna sia a Malta. Per le multinazionali dei soggiorni all' estero l' Italia è tra i mercati più ricchi e più concentrati sull'inglese. STS per esempio ha la casa madre in Svezia: «Gli scandinavi vanno in America per il viaggio coast to coast, gli italiani per imparare l'inglese». ESL offre viaggi di studio in tutta Europa: «Gli olandesi li usano per la seconda lingua, gli italiani al 90 per cento per l'inglese».

 

Nel 2015 111.610 italiani sono andati Oltremanica per frequentare 265.267 settimane di lezioni di inglese: il doppio degli spagnoli, quasi il quadruplo dei tedeschi. Stesso discorso a Malta, dove la classifica dell'inglese è guidata da 18 mila italiani seguiti da 10 mila tedeschi. Nessuno come noi: solo in Gran Bretagna il settore dà lavoro a 25 mila persone. Uno su otto è mantenuto dai ragazzi italiani, che pagano fino a duemila euro a testa per un soggiorno di due settimane.

 

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È proprio vero: ci impegniamo come nessuno, parliamo peggio di tutti. Certo, c'è l'annosa questione del doppiaggio: secondo una ricerca di Intercultura guarda film in lingua originale il 27 per cento degli adolescenti italiani contro l'85 per cento degli svedesi. Ma per Carmel Mary Coonan, ordinario a Ca' Foscari e tra le massime esperte di didattica delle lingue, c' è anche un problema di competenza degli insegnanti: «I bambini hanno bisogno di full immersion, ma la maggior parte delle maestre italiane non parla correntemente in inglese».

 

Ci si scontra con l'anagrafe: ha meno di quarant' anni solo il 12 per cento delle docenti elementari. E ci si scontra con un passato diverso: «Chi insegna oggi ha studiato negli anni Ottanta, quando non si dava grande importanza alle lingue» aggiunge Coonan.

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«Ma l' inglese non si improvvisa: parlare bene una lingua è difficile come diventare virtuosi di violino».

 

Secondo Peter Brown alle elementari dovrebbero insegnare solo i migliori: «È qui che si fa davvero la differenza, nel bene e nel male». Ma in questa fascia d' età la scuola italiana delega l' inglese a insegnanti con competenza B1, se non addirittura A2. Per capirci: A2 è il livello che si pretende (invano) da chi finisce le medie, B1 è (più o meno) il valore raggiunto alla maturità, C1 è invece il requisito per insegnare inglese nella scuola polacca. Sarà per questo che la Polonia ci precede di ben diciotto posizioni nella classifica targata EF?

 

La nostra scuola ha un problema, e la buona notizia è che al Ministero se ne rendono finalmente conto: «Sta per partire un programma di formazione che coinvolgerà 110 mila insegnanti, 35 mila dei quali solo alle elementari» assicura Gisella Langé, funzionaria del Miur che gode di stima unanime tra gli operatori del settore.

 

La brutta notizia è che i 36 milioni di euro messi sul piatto dalla Buona Scuola arrivano con quattordici anni di ritardo sull' introduzione dell' obbligo del 2003. A domanda sul perché ad Amsterdam si parli un inglese "da inglesi", l' ambasciata olandese risponde che «da noi l' inglese alle elementari è obbligatorio dal 1986, ma siccome in Olanda prima di promulgare una legge si cerca di creare i presupposti per la sua realizzabilità, nelle accademie pedagogiche l' insegnamento dell' inglese è materia obbligatoria sin dal 1983».

 

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