UNA DONNA NELLA VALIGIA E UN OMICIDIO SENZA COLPEVOLE: L’INCREDIBILE STORIA DI FRANCA MUSSO, 54 ANNI, TROVATA SENZA VITA DUE ANNI FA TRA LE CAMPAGNE VERCELLESI - IL CORPO LANCIATO DALL’ALTO, FORSE DAL VICINO VIADOTTO DELL’AUTOSTRADA - L'INCHIESTA E' STATA ARCHIVIATA: “NON CI SONO ELEMENTI PER PROSEGUIRE CON LE INDAGINI” - NEL REGISTRO DEGLI INDAGATI C’E’ IL NOME DI UN AMICO CON CUI AVEVA LITIGATO. L’UOMO ACCUSATO DI OMICIDIO E OCCULTAMENTO DI CADAVERE…

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Floriana Rullo per corriere.it

 

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Resterà senza colpevole la morte di Franca Musso, la 54enne trovata senza vita in una valigia tra le campagne vercellesi. Era il 4 novembre del 2017. Ora, dopo due anni di indagini che hanno portato a un vicolo cieco, alla Procura di Vercelli non è rimasto che arrendersi: «Non ci sono elementi concreti per proseguire con le indagini».

 

Così il caso è stato archiviato, come richiesto dal pm Francesco Alvino. Senza che nessuno si opponga. Nemmeno i familiari della vittima. Nonostante nel registro degli indagati ci sia anche il nome di un uomo accusato di omicidio e occultamento di cadavere. «Franca non avrà giustizia. Nessuno pagherà per la sua morte».

 

Parole che a Tronzano, il paese nel Vercellese in cui si era trasferita a vivere da sola dopo aver abitato a Foglizzo, nel Torinese, per anni, tutti ripetono da tempo. Da quando il suo corpo, ormai senza vita, era stato abbandonato tra i prati di Alice Castello, piccolo paese in provincia di Vercelli. Lanciato dall’alto, probabilmente dal ponte dell’autostrada che passa sopra quel campo, almeno un anno prima.

 

A scoprire la valigia tra le sterpaglie, un cane di un gruppo di cacciatori lombardi, impegnati in una battuta tra i boschi. Era stato attratto dall’odore forte che emanava quel fardello. Difficile dare un nome a quei resti, ormai in avanzato stato di decomposizione. Non c’era un volto. Un’identità. Tanto che per riconoscere la donna e poterle dare un nome gli inquirenti hanno dovuto usare una protesi vertebrale individuata dall’autopsia, affidata al medico legale Cristina Cattaneo, lo stesso del caso di Yara Gambirasio.

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Franca era sparita senza lasciare nemmeno un biglietto alla famiglia nel 2016. «Non avevo più sue notizie da giorni e quando sono andata a cercarla la casa era vuota», aveva detto la sorella affermando di aver presentato denuncia il 16 ottobre dell’anno precedente. «Questo silenzio non è da lei», aveva confidato agli investigatori.

 

Quando i carabinieri avevano sfondato la porta del cascinale Caradola avevano trovato solo i due cani. Di Franca, donna schiva e riservata che non dava mai confidenza a nessuno e tentava di sbarcare il lunario come poteva, nessuna traccia. Un silenzio durato un anno e poi rotto da quel ritrovamento. Ma nonostante le indagini, le consulenze biologiche e scientifiche su quella morte non sono arrivate risposte e soprattutto non ci sono prove che possano individuare un colpevole . Anzi, non è stato possibile nemmeno stabilire se quello della 54enne sia stato un omicidio o una morte naturale.

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La Procura le ha provate tutte. Sono stati passati al setaccio movimenti bancari e celle telefoniche agganciate dal suo cellulare, fatti esami sulla valigia, cercate impronte. Senza esito. L’ultima speranza era appesa ad alcuni peli ritrovati nella valigia. Una perizia affidata allo studio di biologia e genetica forense di Paolo Garofano, figlio di Luciano, ex comandante dei Ris di Parma, che ha però certificato che i peli appartenevano a Franca Musso. Un buco nell’acqua. L’ennesimo. Così come l’indagato a cui gli inquirenti erano arrivati sfogliando il diario della donna. Era stata lei a raccontare di un litigio con quell’amico che frequentava assiduamente. Ma l’inchiesta non è decollata: il giallo della donna morta in valigia rischia di rimanere un cold case vercellese.

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