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I sostenitori del presidente Usa, Donald Trump, sono scesi in piazza a Washington per manifestare contro il "furto delle elezioni", proprio nel giorno in cui il tycoon, per la prima volta, ha evocato la sconfitta elettorale. La manifestazione davanti alla Casa Bianca, inizialmente pacifica, è sfociata in tensioni e scontri con gruppi di oppositori del presidente uscente. Dopo il calare della notte, il clima nelle mobilitazioni relativamente pacifiche a Washington si è fatto teso a violento. Gli scontri hanno causato un accoltellamento e almeno 20 arresti.
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Due agenti di polizia sono rimasti feriti e diverse armi da fuoco sono state recuperate dalla polizia. I video pubblicati sui social media hanno mostrato alcuni manifestanti e contro-manifestanti che si scambiavano spinte, pugni e schiaffi. La tensione è salita alle stelle domenica mattina. Trump, lasciando la Casa Bianca per andare a giocare a golf, si è concesso un bagno di folla.
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Nella notte ha poi lanciato una serie di tweet in cui ha criticato polizia, sindaco, il movimento antifascista e i media: ha attaccato l'organizzazione della sinistra antagonista 'Antifa' per aver aggredito i manifestanti suoi sostenitori nella capitale, la polizia per essere intervenuta "troppo tardi", il sindaco perché "non sta facendo il suo lavoro" e il "silenzio dei media nemico del popolo" sulla folla dei suoi fan. Il presidente ha postato anche immagini di un suo apparente supporter aggredito da militanti black lives matter, chiedendo l'arresto dei responsabili.
Diverse altre città sabato sono state teatro di manifestazioni di sostenitori di Trump che non sono disposti ad accettare come legittimi il collegio elettorale del democratico Joe Biden e la vittoria del voto popolare. "Stop the Steal" e "Count Every Vote" gli slogan più gridati, nonostante la mancanza di prove di frodi elettorali o altri problemi che potrebbero modificare il risultato delle presidenziali. Trump aveva appoggiato un raduno sabato mattina prima di dirigersi verso il suo club di golf della Virginia. La gente cantava "USA, USA" e "altri quattro anni" e molti portavano bandiere e cartelli americani per mostrare il loro dispiacere per il conteggio dei voti.
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A Delray Beach, in Florida, diverse centinaia di persone hanno marciato, alcune recanti cartelli con la scritta "Conta ogni voto" e "Non possiamo vivere sotto un governo marxista''. La polizia di Phoenix ha stimato che 1.500 persone si sono radunate fuori dal Campidoglio dell'Arizona per protestare contro la vittoria di Biden nello stato. I manifestanti a Salem, in Oregon, si sono riuniti al Campidoglio e tra gli oratori a Washington c'era un repubblicano della Georgia appena eletto alla Camera degli Stati Uniti.
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Francesco Semprini per “La Stampa”
Sono arrivati in aereo o in treno, a bordo di auto, talvolta incolonnate per centinaia o migliaia di chilometri, dal sud e dell'ovest degli Stati Uniti, per rendere omaggio al comandante in capo, Donald Trump, il condottiero ferito che resiste nel fortino della Casa Bianca, mentre attorno a lui frana l'offensiva legale con cui cerca di ribaltare il risultato delle elezioni presidenziali. Hanno scelto di riunirsi a Freedom Plaza, iconica piazza della capitale a pochi passi dal 1600 di Pennsylvania Avenue, così che il presidente potesse sentirli, vederli, capire che nella sua strenua resistenza non è solo e che non lo sarà nemmeno dopo. «Il tempo dirà chi entrerà in carica a gennaio», aveva detto giovedì Trump dal Giardino delle rose (con i capelli diventati grigi), parole che facevano presagire un'imminente presa di coscienza della sconfitta, quindi la resa.
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«Altri quattro anni», gli rispondono i suoi sostenitori, un paio di decine di migliaia, molti di più dicono gli organizzatori. Le aspettative di un successo erano scritte nel nome: «Million MAGA March», il raduno delle grandi tribù trumpiste unite dal mantra «Stop the Steal», (fermiamo il furto) lo slogan coniato da Roger Stone, il fedelissimo di Trump. C'erano gli immancabili biker, milizie territoriali, formazioni della destra radicale come Proud Boys riconoscibili dalle tenute giallo-nere, gli Oath Keepers, gli antigovernativi Boogaloo, i III Percenters, i cospirazionisti di QAnon. Tra i leader delle diverse formazioni erano presenti Jack Posobiec, che nel 2016 lanciò la teoria del Pizzagate contro Hillary Clinton, il suprematista Nicholas Fuentes, che marciò nel corteo di Charlottesville, Enrique Tarrio, capo dei Proud Boys.
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«Stand Back, Stand By», era scritto sulle loro t-shirt, un riferimento all'invito a tenersi pronti rivolto loro dal presidente in uno dei dibattiti tv con Biden. Ma erano presenti anche tante donne e uomini qualunque, famiglie, giovani, bambini, ispanici, asiatici e afroamericani. Uno spaccato di quella maggioranza silenziosa le cui istanze furono colte da Trump con successo e che quattro anni fa lo portò alla Casa Bianca. Il presidente ha salutato dai finestrini dell'auto i suoi sostenitori, andati letteralmente in delirio al suo passaggio.
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La manifestazione è proseguita con la marcia verso la Corte Suprema, tra balli e canti e immagini di Trump che svettavano su cartelloni e bandiere. Il tutto in un clima pacifico, almeno sino all'arrivo alla Corte Suprema laddove Trump ha assicurato che si sarebbe appellato per dimostrare i brogli e le irregolarità che avrebbero fatto vincere Joe Biden. Davanti all'alta corte però, dietro il cordone di sicurezza creato dalle forze dell'ordine, si sono schierati gruppi di Antifa e frange più radicali di Black Lives Matter. Momenti di tensioni e confronti verbali sfociati solo un paio di volte nello scontro fisico. Ha prevalso la voglia di manifestare, in quella che potrebbe essere forse l'ultimo raduno delle tribù trumpiste di questa amministrazione. Il tempo dirà quale futuro li attende.
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