Valentino Di Giacomo per ilmattino.it
«Non mi sono accorto di nulla, hanno fatto tutto i carabinieri che non posso non ringraziare». Sal Da Vinci è stato, suo malgrado, protagonista di una brutta storia poi terminata con un lieto fine. Nella notte di giovedì due ragazzi hanno rubato il suo scooter, ma sono stati subito scoperti da una pattuglia dei carabinieri che li ha messi in fuga e poi hanno riconsegnato al cantante - che per il 16 novembre sta preparando il suo debutto su Canale 21 con il programma Koprifuoco 2.1 - il suo mezzo.
Tutto è bene quel che finisce bene?
«Lo scooter ha riportato qualche danno, ma ci sono cose più importanti a cui pensare. Non è la prima volta che mi succede, stavolta però anche i miei familiari lo hanno saputo dai giornali perché la notizia subito si è diffusa».
Deve la sua fortuna artistica alla sua voce, ma anche al musical Scugnizzi di Claudio Mattone ed Enrico Vaime che ha raccontato le storie dei tanti ragazzi di questa città che provano a riscattarsi dopo aver sbagliato. Perdona chi ha provato a derubarla?
«Io stesso mi sono sempre sentito uno scugnizzo di questa città, ma ho trovato la musica per non prendere strade sbagliate e tanti ragazzi, dal carcere di Nisida, sono venuti a lavorare con me costruendosi una carriera nella legalità. Non spetta a me giudicare o perdonare chi fa certe scelte di vita, ma magari dire loro due parole serve.
Ciò che vorrei dire a questi ragazzi è che chi commette reati difficilmente si arricchisce, non compra una casa, non risolve la vita. Rischia solo di rovinarsi. Forse sono queste le parole che bisognerebbe dire più spesso come tante volte ho fatto proprio incontrando i ragazzini di Nisida».
Tutta colpa di messaggi sbagliati? Non si rischia così di assolverli?
«Non dobbiamo assolvere o colpevolizzare, ma cercare di capire sì. Spesso, purtroppo, pure un certo tipo di musica contribuisce: penso a quei generi importati da Oltreoceano che ostentano ricchezza. Di chi fa credere ai nostri scugnizzi che sia un valore avere scarpe da migliaia di euro, una macchina importante o un Rolex al polso».
Cattivi maestri si sarebbe detto un tempo?
«La lettura è duplice: molti artisti vogliono dire che sono arrivati a determinati status grazie a dei sacrifici e che quindi tutti ce la possono fare. Altri lo fanno solo per pura ostentazione ed è questo il messaggio che non possiamo tollerare. Ai ragazzi dico sempre che è meglio un pezzo di pane onesto che non una vita di pericoli con un bell'orologio sul polso».
Di questa cultura americaneggiante abbiamo importato pure quella dei graffiti e dei murales. Trova giusto che alcuni criminali, pur se adolescenti, possano essere raffigurati come esempi sui muri dei nostri quartieri?
«Torno alla doppia valenza dei messaggi, non per essere buonista. Da un lato comprendo le istituzioni che giustamente provano a rimuovere certi esempi, dall'altro mi metto nei panni di una famiglia straziata che magari invece di fare interviste vuole dire attraverso alcuni simboli agli altri ragazzi: Ecco cosa succede quando si prende la strada sbagliata. Da padre mi fa male sapere di queste storie».
Pensa al quindicenne Ugo Russo o al 17enne Luigi Caiafa raffigurati ai Quartieri Spagnoli e a Forcella?
«L'altro giorno sono passato da Santa Lucia e ho visto una foto di Ugo. Mi sono chiesto perché questo ragazzino non l'ho conosciuto prima? Di cosa aveva bisogno? Perché io non ci sono stato? Quante volte nelle mie visite a Nisida, parlando con loro, ho capito che questi ragazzi spesso sono pieni di debolezze per violenze già subite sentendosi spesso più al sicuro in strada che in famiglia. Non si può difendere l'illegalità e ci sono educatori che ho conosciuto che sono degli angeli. È che spesso gli angeli non bastano, ma noi non dobbiamo mai girarci dall'altra parte».
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