Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera”
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Colpire la Francia il 14 luglio è come assassinare l’arcivescovo Becket o monsignor Romero nella cattedrale, è come devastare una sinagoga, come fare strage in una moschea. La festa che commemora la Rivoluzione del 1789 e la nascita della Francia moderna ha una sacralità e una coralità che purtroppo nessuna ricorrenza civile italiana possiede. Gli integralisti islamici lo sanno; e per questo hanno scelto di colpire in un giorno di sacralità civile per i francesi, anziché durante gli Europei di calcio, come tutti si attendevano.
E’ vero, gli integralisti islamici odiano il calcio: in Iraq nel maggio scorso sono stati attaccati due bar di tifosi del Real Madrid che seguivano le partite di Champions; nei territori controllati dall’Isis seguire gli sport occidentali è vietato. Ma odiano molto di più la libertà. E il 14 luglio è una sorta di compleanno della libertà. La presa del carcere simbolo dell’Antico Regime segna l’affermarsi di un’idea recente nella storia dell’umanità: gli uomini nascono liberi e uguali, con pari diritti e - in teoria – pari opportunità per aspirare alla piena realizzazione di sé. E questo per i fondamentalisti islamici, che non hanno avuto l’illuminismo e la rivoluzione dei diritti, è una provocazione inaccettabile.
Certo, il governo francese ha commesso errori. Non ha visto arrivare il pericolo. Si è unito ai bombardamenti in Siria senza una strategia e senza la forza per arrivare sino in fondo, a liberare Raqqa, come Hollande aveva annunciato frettolosamente dopo gli attacchi del 13 novembre.
Ieri notte le parole del presidente più impopolare della Quinta Repubblica suonavano impotenti: il richiamo dei riservisti, il prolungamento di tre mesi dello stato d’emergenza, i nuovi bombardamenti sull’Isis non metteranno i francesi al riparo. Né è possibile controllare in ogni momento qualsiasi città, qualsiasi strada. A maggior ragione nel Midi, il Sud, zona di immigrazione e non a caso di grande radicamento del Front National, epicentro di tensioni etniche e religiose non meno delle banlieues di Parigi.
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Sarà una guerra lunga; di più, sarà un’epoca di grandi turbamenti, quella che ci attende. La Francia ferita per la terza volta in 18 mesi ha almeno una certezza, un valore condiviso: “lo stendardo sanguinante della tirannia” oggi non è più l’Antico Regime, non sono più gli eserciti reazionari che premono al di là del Reno; ha il volto nichilista del terrorismo islamico. Il 14 luglio ispira patriottismo talora ai limiti della retorica; e anche le parole di Hollande ne hanno risentito. Ma augurarci una nuova Valmy, una nuova vittoria sulle forze dell’oscurantismo, è un sentimento universale come quella festa della libertà che ieri è stata attaccata.