Irene Famà per "la Stampa"
Crescere è un percorso complesso, soprattutto negli anni dello sviluppo, quando il corpo cambia e da bambine si diventa donne. C'è la difficoltà a riconoscersi e il timore di non essere più accettati dagli altri. Di perdere gli affetti, di non essere più amati.
«Avevo paura di non essere più la piccola di mio papà». Marina, agli inquirenti che hanno preso in carico la sua storia, lo spiega così. Parole semplici per raccontare un dramma profondo che l'ha portata all'anoressia.
Davanti a lei un padre che minimizzava: «Sono tutte sciocchezze». Che la strattonava per convincerla a mangiare, che, nonostante le precarie condizioni fisiche, la spediva a lavorare in un bar così da contribuire all'economia familiare. L'altro giorno, il Tribunale ha condannato l'uomo a due anni e sei mesi di reclusione per maltrattamenti nei confronti della ragazza avvenuti dal gennaio 2010 al giugno 2019. Dall'accusa di maltrattamenti nei confronti di un'altra figlia, invece, è stato assolto.
Marina, oggi trentenne, era un'adolescente quando ha iniziato a rifiutare il cibo. I pasti, per lei, erano diventati un nemico, un momento di sofferenza. «Se cresco - pensava - mio papà non mi vorrà più».
Diventare donna, a suoi occhi era una condanna: non il normale evolversi delle cose, ma il momento in cui il padre l'avrebbe rifiutata. Come se crescendo avrebbe perso il suo valore e non sarebbe più stata degna di ricevere amore. La madre cerca qualcuno che possa aiutare la figlia e Marina viene seguita da medici e psicologi.
Il padre, l'uomo da cui lei cercava conforto, però la umilia. Non una parola di approvazione, non uno sguardo d'amore, non un abbraccio di sostegno che significasse: «Io ci sono, sono qui per te. Ti amo e ti amerò sempre».
Invece di aiutarla, di collaborare con medici e psicologi, minimizzava. «Quello che dicono i dottori? Sono solo sciocchezze. Mangia» le ripeteva, scuotendola con forza. E la mandava a fare gli acquisti più disparati: dalla spesa alle sigarette. Marina lo assecondava, nella speranza di ottenere la sua fiducia, di non perdere il suo amore.
In casa, le difficoltà economiche erano tante. E l'uomo voleva che la ragazza contribuisse alle spese familiari, così nei weekend la mandava a lavorare in un bar. Nonostante lei dovesse stare a riposo.
I documenti finiti sul tavolo del pubblico ministero Marco Sanini raccontano di un contesto familiare nel quale il padre millanta lavori e conoscenze, sempre indaffarato a chiudere contratti di vario di genere. E scaricava sulla figlia diverse responsabilità. Un atteggiamento che, secondo il magistrato, ha aggravato la patologia di Marina sino a portarla a diversi ricoveri in ospedale.
La mamma della giovane presenta una denuncia e si separa dal marito. Lui nel giugno 2019 va via di casa, ma pochi giorni dopo, torna brandendo una pistola. Minaccia l'ex compagna e le figlie. I vicini sentono le urla e chiamano i carabinieri.
L'uomo viene arrestato. Scattano gli accertamenti e la storia di Marina viene alla luce. Un dramma in cui una ragazza non vuole crescere per paura di perdere l'amore del papà e in cui un padre, invece di essere un punto di riferimento e un punto forza, è l'elemento di distruzione.