Fabio Amendolara per la Verità
«Mentono sapendo di mentire», aveva sentenziato il giudice dell' udienza preliminare del Tribunale di Caltanissetta Graziella Luparello a proposito delle testimonianze di Mario Parente, messo da Matteo Renzi a capo dell' Aisi, l' Agenzia informazioni e sicurezza interna, e del suo vice Valerio Blengini, per circa un decennio capocentro dei nostri 007 a Firenze, dove entrò in grande confidenza con petali del Giglio magico come Marco Carrai e Antonella Manzione. Il giudice, che aveva mandato gli atti alla Procura, come anticipato dalla Verità, aveva anche specificato la richiesta di approfondire le affermazioni che avevano reso davanti alle toghe.
Adesso Blengini è stato iscritto sul registro degli indagati della Procura di Caltanissetta, guidata dal procuratore Amedeo Bertone, per il reato di false dichiarazioni al pm (il 371 bis del codice penale).
Blengini è uno 007 di cui questo giornale si è occupato più volte a partire dal 2016, quando, alla vigilia del referendum costituzionale e dell' addio di Renzi a Palazzo Chigi, venne promosso vicedirettore grazie a una modifica last minute del regolamento dei servizi segreti. Il procedimento in cui Blengini è rimasto invischiato è quello su Antonello Montante, il professionista dell' antimafia ed ex numero uno di Confindustria in Sicilia condannato con rito abbreviato a 14 anni di carcere il 10 maggio scorso.
Nei corridoi del Palazzo di giustizia di Caltanissetta, oltre che dell' avviso fatto notificare a Blengini, si fa riferimento pure alla trasmissione a Roma degli atti su Parente per competenza territoriale.
I due indagati si trovano nei guai perché ai tempi in cui Renzi era premier i vertici dell' Aisi per gli inquirenti si sarebbero arrampicati sugli specchi per confondere i giudici sulle protezioni e sulle relazioni di Montante. L' ipotesi è stata ricostruita nella sentenza che riguarda quest' ultimo. E parte da un capo reparto dell' Aisi, Andrea Cavacece, imputato nell' altro troncone del processo Montante che è in corso con rito ordinario. Lo 007 è accusato di aver girato all' ex direttore dell' Aisi Arturo Esposito notizie sull' indagine sul colonnello Giuseppe D' Agata, ex capo della Dia di Palermo poi passato ai servizi segreti. Un investigatore che, dopo aver indagato sulla trattativa Stato mafia, stando all' indagine sarebbe diventato un fedelissimo di Montante.
Il giudice ha ricordato che l' attività di indagine è stata resa «particolarmente impervia [] a causa del trasudamento di notizie segrete che, in maniera inizialmente inspiegabile, riuscivano a raggiungere i diretti interessati».
Ma è impervia anche la ricostruzione di quelle fughe di notizie. Per provarci il giudice torna indietro al 2015, quando Blengini raccontò ai magistrati che «durante un incontro con personale dello Sco (il Servizio centrale operativo della polizia di Stato, ndr) per gli auguri di Natale, a un collaboratore dell' Aisi erano state chieste informazioni su D' Agata, tanto da indurlo a ritenere che vi fosse un' attività investigativa sul colonnello». Il vicedirettore dell' Aisi sarebbe stato «attivato per esplicita direttiva del generale Esposito» sul caso e per questo domandò chiarimenti al questore di Caltanissetta Bruno Megale: «Gli chiesi conferma se avesse notizia di un' indagine su D' Agata perché bisognava valutare l' opportunità di trasferirlo in Sicilia». Ma il questore chiuse ogni discussione e firmò una relazione di servizio con cui mise agli atti la vicenda. Blengini confermò alle toghe: «Si trincerò in un silenzio imbarazzato, mi rappresentò solo l' inopportunità di trasferire D' Agata in Sicilia».
Questa la versione dello 007 renziano. Che il generale Parente, successore di Esposito, avrebbe confermato ai magistrati, precisando che la notizia raccolta alla cena di Natale era «indeterminata».
Ma è su quel termine che sarebbe scivolato Parente. Secondo il giudice, «se, come sostenuto dai due appartenenti ai servizi segreti, l' informazione loro pervenuta sulla possibile indagine sul conto di D' Agata fosse stata veramente così generica, non si comprende il senso dell' iniziativa esplorativa condotta presso la squadra mobile nissena».
Infatti, «in assenza di dettagli sull' oggetto dell' indagine», la toga si chiede perché Blengini fosse sceso proprio a Caltanissetta a cercare notizie, agganciando, con mirabile intuito, la «presunta» inchiesta, «ai luoghi di pregresso servizio dello stesso». Secondo il giudice «nell' articolazione dichiarativa di Blengini e Parente si assiste allo scollamento logico tra l' azione compiuta e la giustificazione addotta». Uno «scollamento» che ha portato all' iscrizione sul registro degli indagati.
Blengini, contattato dalla Verità, inizialmente preferisce non commentare: «Non posso e neanche vorrei dire niente». Riferendosi alla notifica aggiunge: «Devo ancora vedere, devo capire un attimo». Ma esprime «fiducia totale nell' autorità giudiziaria».
Poi aggiunge: «Capisco le linee editoriali, ma quando sono stato etichettato in un certo modo (renziano, ndr) ho perso autorevolezza e non è giusto []. Mi rendo conto che date le notizie che dovete dare... tra l' altro questo (l' avviso di garanzia, ndr) mi arriva adesso...». Quindi si lancia in complimenti al nostro giornale: «Non lo nascondo, mi ha dato delle indicazioni per il lavoro [] l' agenzia sta cercando di dare sicurezza a tutti e posso affermare che in questi tre anni in buona parte ci siamo riusciti grazie anche alla battaglia che avete fatto voi sulle espulsioni».
Alla fine della telefonata Blengini si lamenta di aver perso il sonno a causa delle responsabilità che ha sulla testa in quest' epoca di attentati. E di avvisi di garanzia, aggiungiamo noi. Una fase in cui Renzi, in guerra con il suo governo e con i pm, non può certo fungere da Morfeo.