"Che belva si sente?"
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— Che Tempo Che Fa (@chetempochefa) April 28, 2024
Estratto dell’articolo di Teresa Ciabatti per “Sette – Corriere della Sera”
«Speriamo che se sbriga mi moglie a damme sto maschietto» dice uno dei più feroci killer di Roma al telefono. E anche: «Il sogno mio du maschietti e 'na feminuccia». «Come te scioglie la feminuccia nun ce maschio che tiene, a me fra' me fa l'occhi a cuoricino dalla mattina che se sveglia fino alla sera che s'addorme». Attraverso le intercettazioni ambientali e le chat criptate, Francesca Fagnani in Mala (edizione Sem) ricostruisce i caratteri, gli umori, la dimensione di normalità e soprattutto il carico di affettività dei malavitosi romani.
[…] Tutto ha inizio con la morte di Diabolik, Fabrizio Piscitelli. Se fino a quel momento a Roma regnava una pacifica convivenza gestita dai Senese, dopo scoppia la guerra. «Dal 7 agosto 2019, tra esecuzioni, gambizzazioni, sequestri, torture, pestaggi e scontri a fuoco, le strade di Roma cominciano ad assomigliare a quelle messicane di Tijuana» scrive Fagnani.
Chi era Fabrizio Piscitelli detto Diabolik?
«Ufficialmente il capo della curva Nord, il capo Ultras della Lazio. Colui che anni prima si presentava a Lotito come Diabolik, e Lotito, completamente ignaro di chi avesse di fronte, rispondeva: “Ginko, piacere mio”».
In realtà?
«Diabolik è stato uno dei più importanti narcos di Roma, figlio elettivo di Michele Senese».
Perché viene ucciso?
«Cercava di rendersi autonomo dal cartello».
Partendo da questo omicidio lei in Mala svela Roma.
«A Roma c'è un vero e proprio cartello con tanto di re e vicerè».
Il re?
«Michele Senese detto ‘o Pazzo, re del narcotraffico a Roma da quattro decenni».
‘O Pazzo?
«Grazie a perizie di medici compiacenti è spesso riuscito a evitare il carcere».
Cartella clinica di Senese?
«Soggetto paranoide, personalità antisociale, epilettico, incapace di intendere e di volere».
Invece?
«Michele Senese ha sempre saputo quello che faceva, dotato di grande capacità strategica e ferocia».
Nel libro lei racconta la prassi della cartella clinica.
«Al momento dell'arresto i criminali si fanno trovare con la cartella clinica pronta così da garantirsi l'alternativa al carcere».
Alternativa al carcere?
«Comunità di recupero. Ma la casistica degli ultimi anni dimostra come le comunità per tossicodipendenti e le cliniche psichiatriche siano un punto di ritrovo per tessere rapporti. Da dentro i boss continuano a occuparsi degli affari. Conducono una vita lussuosa: ostriche, aragoste, champagne. Amici che vanno e vengono, prostitute. Una di queste comunità è la San Pio di Nola, da cui a dicembre è fuggito Dorian Petoku, importante e pericoloso narcos albanese».
[…]
Lei ricostruisce il prima e il dopo Diabolik, i differenti clan, come quello degli albanesi (tra i più violenti: Elvis Demce, Arben Zogu, Dorian Petoku, Orial Kolaj).
«Partiti da Acilia come pugili sono militari, nascono killer a servizio della criminalità. Apolidi, per loro non esiste il concetto di tradimento. Rappresentano la forma di criminalità più moderna. Negli anni hanno avuto un'ascesa, oggi costituiscono un clan secondo solo alla ‘Ndrangheta».
Elvis Demce?
«In grado di cavare a mani nude gli occhi ai nemici, e a chi gli oppone resistenza, come è accaduto a un infermiere durante la detenzione».
Lei porta alla scoperto i meccanismi di una Roma invisibile.
«A Roma si spara poco. Fino alla morte di Diabolik il cartello è riuscito a mantenere l'equilibrio. La periferia non è in centro, non la vedi, da qui la sensazione che si ammazzino tra loro, che sia una questione di microcriminalità».
[…]
Nel libro lei racconta di torture: persone sequestrate e torturate.
«Aghi infilati nelle unghie, cazzotti, calci. Gualtiero Giombini detto il Vecchio muore, il suo fisico non regge a sevizie, ustioni, fiamma ossidrica, bitume bollente, gelo, dal momento che viene lasciato due giorni nudo legato all'addiaccio. Sul referto è scritto: deceduto a causa di polmonite».
Motivo?
«Forse ai medici sono sfuggite ferite e segni delle torture».
Altro clan, quello dei Casamonica.
«Hanno attirato un'attenzione enorme perché folcloristici. Ma non muovono quello che muove il cartello Senese».
Uno dei protagonisti più inquietanti di questo sistema: il Principe. Chi è?
«Matteo Costacurta, classe 1988, nato e cresciuto ai Parioli, socio titolare del Roma Polo Club, giocatore a sua volta. Bello, ricco, aristocratico da parte di madre, amministra società immobiliari. Ha tutto, non ha bisogno di soldi».
rilievi dopo l omicidio di fabrizio piscitelli
Eppure è uno dei killer più spietati di Roma.
«Il Principe ha una passione: uccidere. Ma non per soldi. La sua è una vera devianza».
Quando nasce l'interesse di Francesca Fagnani per questo mondo?
«Inizio con Giovanni Minoli raccontando la mafia, poi con Michele Santoro mi occupo di periferie. L'approccio non giudicante mi ha consentito di entrare».
Perché proprio la criminalità?
«Credo di avere un forte io antisociale tarpato da un'educazione borghese».
Famiglia di origine?
«Papà lavorava in Vaticano, mamma nel marketing di un'azienda. Nata a San Giovanni, cresciuta all'Eur.
Nessun contatto col mondo della malavita. È stato puro interesse il mio. Da quando faccio questo lavoro poi, da quando sono in televisione, mi capita anche di imbattermi in alcune persone di quell'ambiente anche per caso».
Esempio?
«Mia madre, ricoverata in ospedale, è in stanza con una donna, Nanda. Chiacchierano, si danno conforto. Un giorno io vengo invitata in televisione a parlare di Carminati, e Nanda mi vede. Quando torno in ospedale mi dice: “Io sono Nanda di Trastevere, stavo con Giuseppucci, ho fatto otto anni di carcere a Parma, tentato omicidio”».
Sua madre?
«Fuori stanza per accertamenti. Così Nanda mi racconta la sua vita. Credo che facesse l'usuraia diceva: “Vendevo pellicce, stavo al Banco dei Pegni”».
Conclusione?
«Si raccomanda di non dire niente a mia madre».
Lei mantiene la parola?
«Non ricordo di preciso, ma mi parrebbe strano aver tradito Nanda. Ricordo di aver detto a mia madre: “Tu con Nanda non discuterci troppo”».
Una frase che le è rimasta di Nanda?
«“Solo due persone a Roma sono diverse da noi: Giuseppucci e Carminati. Loro c'avevano la testa, e mangiavano con le posate d'argento”».
Esatto?
«Non del tutto: Giuseppucci era di estrazione popolare. Niente posate d'argento. Carminati sì».
Un altro incontro casuale?
«Per un periodo l'anno scorso ho fatto boxe in una palestra di pugilato ai Parioli. Un giorno il proprietario mi presenta un ragazzo che incrociavo spesso – educato, apriva la porta. “Ti presento il campione europeo Orial Kolaj” fa».
Orial Kolaj del clan degli albanesi?
«Lui».
E?
«In disparte chiedo al proprietario della palestra se sappia di cosa scrivo io. Lui mi rassicura su Kolaj: “Conosco i suoi trascorsi ma ora s'è messo apposto”».
Vero?
«No».
Il ruolo delle palestre di pugilato?
«Il mondo del pugilato ha tolto dalla strada tantissima gente e altrettanta l'ha formata».
il boss michele senese, detto o pazzo
Un esempio di salvezza?
«Irma Testa, prima campionessa italiana nella storia del pugilato che va alle Olimpiadi, ha dodici anni quando arriva nella Palestra Zurlo di Torre Annunziata. Il maestro, che intuisce le sue potenzialità, prima del pugilato le insegna a parlare italiano e a mangiare con le posate».
Nel libro racconta di alcuni boss da lei intervistati di persona.
«Ciccio D'Agati, boss di Ostia. Lo cercavo da giorni.
Di bar in bar alla fine lo trovo: solo, seduto a un tavolo d'angolo, in mano un bastone da passeggio con testa in oro. Vado, mi presento, chiedo se posso fargli qualche domanda, e se posso scrivere. Lui acconsente».
Domande e risposte?
«Alla domanda “Chi è Michele Senese?”, risposta “Una brava persona”. Dichiarazione di appartenenza ai Senese».
Gli chiede anche di Diabolik.
«“Il contrario di stima cos'è” dice lui rispetto a Diabolik. “Poco cervello” aggiunge. Ma soprattutto dice: “Gli scontenti sono pericolosi... progetti ambiziosi senza barriere, ci vuole pazienza e saggezza.” Diabolik era uno scontento».
fabrizio piscitelli foto mezzelani gmt003
La morte per i protagonisti del suo libro?
«La vita ha un prezzo basso, quella degli altri e quella loro».
Cosa li muove allora?
«L'amore per i soldi. La loro non è una dipendenza dalla droga, che non toccano, in genere i criminali di questo calibro non ne fanno uso, sanno che devono rimanere lucidi, la loro è una dipendenza dai soldi».
Come li spendono?
«Macchine, serate, cellulati criptati. Principalmente li reinvestono in narcotraffico».
Case?
«È un mondo ai margini che vuole restare ai margini. Nessuno abbandona il proprio territorio. I Senese sono sempre rimasti al Quadraro. Fabrizio Capogna, colui che si è pentito e ora sta parlando permettendo di ricostruire lo scenario criminale romano degli ultimi anni, è cresciuto a Tor Bella Monaca dove è sempre rimasto. Ha coltivato il desiderio di essere il re di Tor Bella Monaca, non dell'attico in centro. Insomma, nessuno ha lo zoo dentro casa come Pablo Escobar».
Investimenti diversi dalla droga?
«Ancora non è noto se parallelamente abbiano ristoranti, autosaloni, sta uscendo ora dalle dichiarazioni di Capogna. Siamo comunque a un livello militare, pre economico. Non c'è l'intelligenza economica del Clan Moccia che con i prestanome reinveste nelle partecipate dello Stato».
Lei dice: «Mi presento sempre».
«Sembro avventata, ma non lo sono. Sembro coraggiosa, ma non sono neanche quello. So come comportarmi. Preferisco citofonare piuttosto che fare le poste sotto casa».
Citofonare?
«Ho citofonato a quasi tutti i criminali di Roma. A Carminati, per esempio. Mi risponde chiaramente lui ma dice di essere l'operaio. Io dico “aspetto”. Lui ribatte “inutile, Carminati non ti parla”. Alché obietto “ma se lei è l'operaio come fa a saperlo?”. Giorni dopo in una intercettazione parlando con Iannilli, il suo commercialista, Carminati si lamenta di una giornalista che citofona. Iannilli risponde: “È la Fagnani, mi ha citofonato pure a me”».
Situazioni rischiose?
«A Ostia. Citofono a un capo del clan Fasciani. Solo che la troupe, appena vede a chi citofono, si rifiuta di riprendere. In genere per i servizi si chiamano troupe in appalto, persone che vivono e lavorano sul territorio. Mi dicono: “Noi queste cose non le facciamo”. Mi lasciano alla rotonda con l'impegno che chiameranno un'altra troupe».
E lei?
«Aspetto».
Non ha paura di niente?
«Non vado a cercarmi rischi inutili». […]
MASSIMO CARMINATI E SALVATORE BUZZI FIRMANO PER IL REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA massimo carminati