Testo di Eugenia Emerald* per “Holod”, pubblicato da “La Stampa”
*31 anni, prima della guerra imprenditrice ucraina
Il mio defunto padre ha vissuto tutta la sua vita con il presentimento che la guerra sarebbe arrivata. La prima volta che ho preso un fucile in mano avevo nove anni, per andare a caccia con papà, che mi voleva insegnare. Ho preso da lui, sto sempre all'erta. Ho cominciato a fare scorte prima dell'inizio della guerra: ho speso tutti i miei soldi in generi alimentari e benzina, sei mesi di autonomia assicurata.
Avevo affittato una casa di 500 mq per eventi aziendali, adesso è un rifugio per trenta persone; avevo messo su una rete di 500 imprenditori, ora si è trasformata in un gruppo di volontari: risolviamo problemi logistici, trasportiamo persone, consegniamo aiuti umanitari, cibo e vestiti. Cinquecento imprenditori sono una risorsa enorme.
ripristino dei cavi di comunicazione tra edifici distrutti di bucha
Ho studiato in un istituto militare e dieci anni fa sono diventata sottotenente, ufficiale di riserva. Poi sono andata al fronte come volontaria. Nel 2014, volevo anche andare in guerra, ma l'ufficio di reclutamento militare non mi ha accettato perché avevo una bimba piccola. Ora mia figlia ha dieci anni, è al sicuro, all'estero.
Nei primi giorni della guerra, otto donne di Kharkov sono venute alla casa rifugio.
Non c'era nessun altro oltre me che potesse proteggerle, ero la sola a saper sparare, eravamo nel mirino di ladri e saccheggiatori. Poi un comandante che conoscevo mi ha chiesto di unirmi alla sua compagnia delle Forze Speciali dell'esercito ucraino.
Mezz' ora dopo stavo già andando dal quartier generale di Kiev verso una zona di combattimento.
la distribuzione di aiuti umanitari a mariupol
Non nasconderò il fatto che all'inizio è stato molto difficile per me. Una donna in guerra non è mai troppo popolare. E i militari all'inizio non mi hanno trattato bene. «Il tuo posto è in cucina, baba, vai a preparare il borsch», mi dicevano, ovvio.
Ma non ci è voluto molto per entrare nella squadra, adesso siamo come fratelli. Sono l'unica donna sia nella compagnia che nel battaglione.
Di recente il comandante del reggimento mi ha detto: «Lo sai che vogliamo mettere una donna in ogni squadra, perché una donna in guerra dà grande motivazione al gruppo?». È una cosa da uomini: se una donna va in battaglia e un uomo no, allora non è un uomo.
Non uccidiamo, proteggiamo. È così che mi sento.
I nostri figli vengono uccisi, le donne vengono violentate, le nostre case e i nostri monumenti storici e culturali vengono fatti saltare in aria. Per me, queste non sono azioni umane, quindi non mi pongo la domanda se faccio qualcosa di male uccidendo una persona. L'unica cosa è che ricordo chiaramente il momento in cui ho preso le armi per la prima volta in questa guerra e ho capito che avrei sparato e avrei potuto uccidere. È un'emozione difficile da trasmettere. Le mie mani e tutto il mio corpo hanno iniziato a tremare, per 30 secondi. Poi è passato, ma la prima volta è così.
Chi dice di non aver paura sta mentendo. La paura, ovviamente, è presente, ma è necessario rimanere calmi e freddi. La mia paura principale è quella di perdere i miei ragazzi. Grazie a Dio, non abbiamo ancora subìto perdite, ma so che arriverà quel momento. Come diceva Dostoevskij, l'uomo è una creatura che si abitua a tutto. E puoi abituarti, ma la paura è sempre grande.
Abbiamo vissuto insieme per un mese, sono più di una famiglia per me. Viviamo in caserma. Il comandante mi ha offerto una stanza separata perché sono l'unica donna, ma ho volutamente rifiutato, perché qui sono un soldato.
serhii lahovskyi, 26, piange il suo amico ihor a bucha
Sono cresciuta a Troyeshchina in una famiglia normale. Ci sono stati momenti della mia vita in cui non c'erano soldi: il frigorifero era vuoto, non c'era niente da mangiare. In altri invece c'erano così tanti soldi che non sapevo come spenderli. Quindi mi adatto a qualsiasi condizione. Posso dormire sul pavimento, su una panchina, in una caserma, in un campo e nel bosco. Certo, se ho l'opportunità di lavarmi o pettinarmi i capelli, la prendo.
la disperazione di un abitante di bucha
Quando ero a Leopoli, sono andata in un centro di bellezza, le ragazze mi hanno tagliato le unghie, messo lo smalto trasparente. È una sciocchezza quella che le donne in guerra devono essere sciatte e trascurate. Io mi trucco anche in guerra. La guerra poi è una selezione. Tutta la mia cerchia sociale era fatta da imprenditori, per lo più uomini. A oggi, il 90% di loro è scappato.
Credo che uomini forti e con opportunità avrebbero dovuto essere qui, e aiutare.
Non sto dicendo che sia necessario andare in prima linea, ma ci sono tanti modi per rendersi utili. Un paio di giorni fa ho chiesto a un mio amico, che ora è in Turchia: «Senti un po', ma non proverai vergogna quando avrai figli e non avrai nulla da dire sulla guerra? Non ti dispiace non sapere com' è e trasmettere questi sentimenti?».
Nella nostra compagnia, al contrario, ci sono ragazzi che sono tornati in Ucraina da Londra, dalla Francia. Un mio amico, Onur, di nazionalità turca, è rimasto nel suo ristorante nel centro della città e ogni giorno dà da mangiare alla gente a sue spese. Sono orgogliosa di queste persone, che siano miei amici. Quando la guerra sarà finita, ci sarà molto lavoro. Ho deciso che non tornerò agli affari, voglio dedicarmi allo sviluppo dell'Ucraina. Ma non so come la guerra influenzerà la mia psiche.
So di essere diventata molto fredda, dura, senza tanti complimenti. Chiudo con le persone molto rapidamente, non do loro una seconda possibilità se vedo che stanno facendo la cosa sbagliata. Sono cambiata e non sarò più la stessa. Dormo tranquillamente per ora, a volte anche sogno, probabilmente perché so di essere al mio posto più che mai. Quando ero piccola e mi chiedevano chi volevo essere, rispondevo sempre: un cecchino.
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