Estratto dell’articolo di Filippo Fiorini per “la Stampa”
La cronistoria della propria esistenza che Sabrina Di Girolamo tiene sui social è un racconto del prima e del dopo.
Prima era una 36enne capace di vincere un concorso di bellezza, parrucchiera a Terracina (Latina), sposata, madre di due bambine. Dopo, c'è quello che lei chiama «inferno» e che la scienza definisce invece «tetraplegia», ovvero, la paralisi di braccia, gambe e torso. In mezzo, un giorno: il 22 agosto 2017.
Quel giorno Sabrina percorre 600 chilometri verso nord. Raggiunge l'Azienda ospedaliera di Verona. Deve essere operata per un tumore benigno alla testa. Le dicono che è una cosa facile e l'intervento in sé riesce, ma il neurochirurgo si assenta e affida la manovra di posizionamento a uno specializzando, che sbaglia tutto. Eccolo, il giorno in cui le stavano «rovinando la vita». Quello che ha dato inizio alle peregrinazioni per i centri di riabilitazione, senza speranze di poter recuperare la capacità di movimento.
Quello che ha dato inizio anche a due processi, ora finalmente risolti con un patteggiamento che la sta portando a ottenere un risarcimento importante: circa 1 milione e 600 mila euro.
Il momento lei lo riassume così: «Hanno fatto morire la Sabrina di prima. Sempre sorridente, attiva. Facevo di tutto per le mie bambine. Ora sono diventate ragazze senza che nemmeno me ne accorgessi. In questi anni sono riuscita ad andare avanti per loro e cercherò di farlo perché sono la mia vita. Per la mia famiglia, che mi sopporta e supporta in ogni momento. Per le mie amiche, che ci sono sempre». Oppure così: «Avevo solo 36 anni, due figlie da crescere e tanti sogni. In questo maledetto giorno mi hanno tolto tutto. Mai e poi mai riuscirò ad elaborare questa nuova realtà. Il sorriso è per le persone che mi vogliono bene. Le lacrime le ho nel cuore ogni momento di questa maledetta vita».
Il giudice Luigi Pagliuca, nel pronunciamento di condanna emesso in sede civile scrive così: «La craniectomia retro mastoidea destra prevedeva la collocazione, in anestesia totale della paziente, in posizione semi seduta, con fissaggio della testa su una tastiera a tre punte, leggermente flessa in avanti e ruotata verso destra. In quella posizione avrebbe dovuto permanere per tutta la durata dell'intervento. Gli accertamenti, però, evidenziavano immediatamente la presenza di una sofferenza endomidollare acuta, con importante edema, attribuibile alla manovra di posizionamento scorrettamente eseguita. Questo, ha provocato il trauma che avrebbe poi determinato l'attuale condizione di tetraplegia».
Secondo quanto riportato dalla stampa locale veronese, a occuparsi del posizionamento sarebbe stato uno specializzando, lasciato in sala dal neurochirurgo che se n'era andato. Quest'ultimo, in quanto responsabile dell'intervento, unitamente all'Ausl e alle assicurazioni, è il soggetto riconosciuto colpevole.
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