Lorenzo Rotella per "la Stampa"
«Quattro anni fa il mio ex partner ha divulgato un mio video intimo tra i suoi amici. È finito sui canali Telegram e ha reso la mia vita a scuola un inferno». Dalia Aly ha 20 anni, studia Fashion Design al Politecnico di Milano e viene da Cosenza. Migliaia di persone hanno visto il suo corpo nudo scorrendo le notifiche sul telefono. Quel filmato circola ancora in rete. E Dalia ne parla con la voce piena di rabbia e dolore. «Nel maggio del 2017 ho avuto un rapporto con il mio allora fidanzato», racconta a fatica, ma con lucidità. «Abbiamo deciso di riprenderci in un video che sarebbe rimasto un nostro ricordo. Non immaginavo che sarebbe stato condiviso su larga scala. Mi fidavo di lui».
Nel novembre del 2018 l'incubo si ripresenta. Al liceo scientifico Valentini di Cosenza, dove Dalia studiava prima di approdare a Milano, il filmato circola e lo vedono tutti. «I compagni se la ridevano chiedendo ai professori quando un video potesse diventare virale, riferendosi ovviamente al mio. Durante le elezioni per i rappresentanti d'istituto, in cui ero candidata, il mio avversario ha usato quel materiale contro di me per screditarmi. E gran parte della dirigenza scolastica si è rivolta a me in toni aspri, chiedendosi per esempio cos' avrebbero pensato alcuni miei parenti morti se fossero stati ancora vivi».
Nel dicembre dello stesso anno, Dalia alza la testa e denuncia. Ma lo fa senza poter usufruire del «Codice Rosso», entrato in vigore nel luglio del 2019. Si tratta di una legge a tutela di donne e soggetti deboli che subiscono violenze, atti persecutori e maltrattamenti e accelera i tempi delle indagini per reati quali stalking e lesioni. Introduce anche quello di revenge porn, che nel codice penale viene inteso come diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti. La pena va da uno a sei anni di reclusione, mentre la multa oscilla tra i 5 e i 15 mila euro. «Il mio è proprio un caso di condivisione non consensuale di materiale intimo», spiega. «Ma ho potuto solo denunciare contro ignoti, esponendo i fatti e senza indicare un particolare capo d'accusa».
In balia di questo buco normativo, Dalia prosegue la sua battaglia legale da tre anni. «Le indagini procedono a rilento, con tanto di pandemia a complicare le cose. Nessuna udienza in vista, nessun aggiornamento importante». In questa lotta però non è sola: «Ho accanto la mia famiglia e mi sono rivolta al centro anti-violenza Roberta Lanzino di Cosenza. Lì sono stata seguita da un'avvocata e da una psicologa». Quattro anni dopo tutto questo, Dalia è una persona nuova.
Non lascia che quel male vinca su di lei e a Milano cerca di superare il dolore dando voce a chi ha subito situazioni simili. Lo scorso novembre ha infatti lanciato un podcast su Spotify. «È il mese della Giornata contro la violenza sulle donne». Nelle cinque puntate finora registrate, con ascolti complessivi che superano il migliaio di utenti, affronta temi legati al mondo della donna e del revenge porn. Nella prima si parla di aborto con Federica Di Martino, psicologa e fondatrice della pagina «Ho abortito e sto benissimo», e Alice Merlo, che ha abortito con la terapia farmacologica e lanciato la campagna «Una conquista da difendere».
Nella seconda, ripercorre la storia del movimento femminista, dalle origini ai giorni nostri. La terza è interamente dedicata alla storia di Dalia. Nella quarta si discute invece di condivisione non consensuale di materiale intimo con Andrea Giorgini, romano di 23 anni che ha subito un'estorsione. «Qualcuno ha fatto girare sue fotografie riprese in una videochiamata», spiega la ragazza, «e ha cercato di chiedergli denaro in cambio della cancellazione».
Il podcast si intitola «Fai la signorina»: «Me lo ripeteva mia nonna quando da piccola facevo il maschiaccio. Dovevo stare composta, vestirmi con la gonna, parlare a modo. I maschi invece potevano fare tutto quello che volevano. Così ho deciso di abbattere quel pregiudizio patriarcale e fare attivismo con la satira e un microfono».
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