1. “OGGI MUORE IL PADRE DI TUTTI. RIP.TOTO’ RIINA, NON NASCERA’ UN ALTRO COME TE” – SUI SOCIAL CONDOGLIANZE SHOCK E VERGOGNOSE PAGINE DI COMMIATO PER LA MORTE DEL BOSS
2. “QUANDO C’ERA LUI I SOLDI IN ITALIA GIRAVANO” - DELLE STRAGI POCO IMPORTA, A CHI SI STUPISCE PER I BAMBINI UCCISI, RISPONDONO: "MA IL BIMBO ERA FIGLIO DI QUALCUNO CHE..."
3. POLEMICHE A ERCOLANO PER I MANIFESTI FUNEBRI CON LE FOTO DI FALCONE E BORSELLINO CHE DANNO "IL LIETO ANNUNCIO" DELLA MORTE DI RIINA – I VESCOVI: "UN FUNERALE PUBBLICO NON E’ PENSABILE"- LE PAROLE DI MARIA FALCONE, SALVATORE BORSELLINO E PIETRO GRASSO

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Claudio Cucciatti per repubblica.it

riina 10 riina 10

 

"Un funerale pubblico non è pensabile". Quella della Conferenza episcopale italiana, arrivata per bocca del portavoce don Ivan Maffeis, è una delle dure reazioni che hanno accompagnato la morte del boss mafioso Totò Riina. "Ricordo la scomunica del Papa ai mafiosi e la condanna inequivocabile della Chiesa. Non possiamo sostituituirci al giudizio di Dio, ma neanche confondere le coscienze". Inviti a continuare la guerra alla criminilità, a non abbassare la guardia, a non dimenticare il dolore provocato dal "capo dei capi". Perché la mafia non è scomparsa con Totò Riina. 

PIETRO GRASSO CON FALCONE E BORSELLINO PIETRO GRASSO CON FALCONE E BORSELLINO

 

"La pietà non ci fa dimenticare il dolore e il sangue versato", ha scritto su Facebook il presidente del Senato Pietro Grasso, magistrato che con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ha combattuto Totò Riina. 

 

"Riina iniziò da Corleone negli anni '70 una guerra interna alla mafia per conquistarne il dominio assoluto, una sequela di omicidi che hanno insanguinato Palermo e la Sicilia per anni. Una volta diventato il capo - ha ricordato Grasso - la sua furia si è abbattuta sui giornalisti, i vertici della magistratura e della politica siciliana, sulle forze dell'ordine, su inermi cittadini, sulle persone che con coraggio, senso dello Stato e determinazione hanno cercato di fermarne il potere".

 

"La strategia di attacco allo Stato - ha concluso il presidente del Senato - ha avuto il suo culmine con le stragi del 1992, ed è continuata persino dopo il suo arresto con gli attentati del 1993. Quando fu arrestato, lo Stato assestò un colpo decisivo alla sua organizzazione. In oltre 20 anni di detenzione non hai mai voluto collaborare con la giustizia". Pietà, ma non perdono. E un po' di rammarico: "Porta con sé molti misteri che sarebbero stati fondamentali per trovare la verità su alleanze, trame di potere, complici interni ed esterni alla mafia, ma noi, tutti noi, non dobbiamo smettere di cercarla".

 

TOTO RIINA TOTO RIINA

Sulla stessa lunghezza d'onda Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo ucciso in via d'Amelio il 19 luglio 1992: "Con Riina scompare un'altra cassaforte dopo quella vera scomparsa dopo la sua cattura. Adesso è più difficile che venga fuori la verità sull'assassinio di mio fratello. Se era improbabile - ha spiegato - che un criminale della caratura di Riina potesse pentirsi e parlare, ancora più improbabile è che ci possa essere un pentito di Stato perché Paolo è stato sacrificato sull'altare della scellerata trattativa tra la mafia e pezzi dello Stato".

 

Una vicenda, secondo il fratello del magistrato, resa ancor più difficile da riportare alla luce a causa di 'un altro grande ostacolo alla verità'. "Se le intercettazioni di Napolitano fossero state rese pubbliche, avremmo potuto avere le idee più chiare su quegli indicibili accordi di cui scrisse il suo consigliere politico D'Ambrosio, prima che un 'provvidenziale' infarto lo portasse via". Borsellino si riferisce alle telefonate tra l'allora presidente della Repubblica e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, distrutte per ordine della magistratura dopo che la Consulta aveva accolto il ricorso presentato dallo stesso Napolitano. 

 

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Maria Falcone, sorella del magistrato Giovanni ucciso lungo la A29, all'altezza dello svincolo di Capaci, il 23 maggio 1992, ha commentato la morte del 'capo dei capi' dicendo di "non gioire per la sua morte, ma di non poterlo perdonare. Come mi insegna la mia religione avrei potuto concedergli il perdono se si fosse pentito, ma da lui nessun segno di redenzione è mai arrivato". E a parlare è poi Giuseppe Costanza, l'unico sopravvissuto all'attentato: "Meno si parla di lui e meglio è. Cerchiamo di ridimensionare la figura di questo signore. Mettiamolo all'angolo. Non merita altro per quello che è stato e per quello che ha fatto. E se ne vada in silenzio con tutti i suoi segreti".

 

TOTO RIINA TOTO RIINA

"Lo Stato in tutte le occasioni deve marcare la propria differenza e distanza dalla mafia - ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando - e non deve sottovalutare il pericolo che ancora oggi la criminalità organizzata rappresenta". Sul trattamento ricevuto da Riina, detenuto in regime di 41 bis, Orlando ha precisato che "Riina ha avuto un'assistenza sanitaria e cure adeguate fino all'ultimo momento e che lo Stato ha garantito quella cifra di civiltà che corrisponde alla sua natura democratica".

 

 

Il presidente della Commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi ha ricordato che "la fine di Riina non coincide con quella della mafia siciliana, che resta un sistema criminale di altissima pericolosità". Bindi ha voluto sottolineare come Cosa Nostra, nella sua versione stragista, sia stata sconfitta prima della morte del boss grazie al duro impegno delle istituzioni e al sacrificio di tanti uomini coraggiosi e giusti".

 

 

 

"Di fronte alla morte nessun commento", ha detto il presidente della Direzione nazionale antimafia Nino Di Matteo, uno dei magistrati che Riina non ha mai nascosto di voler eliminare. Di Matteo oggi è il magistrato più scortato d'Italia proprio per le minacce ricevute negli ultimi anni, dal carcere, dal boss mafioso di Corleone.

 

 

 

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Era il dicembre del 2013 quando Riina, parlando in carcere senza sapere di essere intercettato, disse: "Lo faccio finire peggio del giudice Falcone. Lo farei diventare il tonno buono". Ma non era l'unica minaccia a distanza inviata a Di Matteo. In altre conversazioni aeva detto: "Organizziamola questa cosa, facciamola grossa e non ne parliamo più. Questo Di Matteo non se ne va. Dobbiamo fare un'esecuzione come quando c'erano i militari a Palermo".

 

 

2. CONDOGLIANZE SCHOCK

 

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Carlo Brunelli per repubblica.it

 

A poche ore dalla notizia della morte di Totò Riina proliferano sui social network post e pagine di commiato al capo dei capi. Per centinaia di utenti non se ne è andata "la belva" che voleva uccidere i parenti dei pentiti, compresi donne e bambini. Non è morto lo stragista condannato per Capaci, via D'Amelio, viale Lazio, Via dei Georgofili, per la strage di Pizzolungo. 

 

 

Per molti, oggi se ne è andato "un grande uomo. Quando c'era lui i soldi in Italia giravano, oggi gira fame perchè la politica è la vera mafia". Non è morto Totò ‘u curtu, il boss che augurava ai magistrati di fare la fine del tonno: “Oggi muore il padre di tutto e tutti...R.I.P. Totò Riina...Non nascerà mai un altro come te…".

 

Se ne va un uomo che nell’immaginario di qualcuno è stato lo Stato. Quando c'era lui in Sicilia la crisi economica e sociale era lontana, oggi è peggio subire la malapolitica che le ritorsioni mafiose. E dei morti ammazzati poco importa, anche i bambini. A chi si stupisce rispondono "ma il bimbo a chi era figlio? Figlio di qualcuno che stava succhiando la vita di tutta la sicilia? Meditiamo un po’ anche"

 

Nonostante molti post provengano dalla Sicilia, i "riposa in pace" per Riina arrivano da tutta Italia, non hanno una connotazione geografica ben delineata. Se ne trovano diversi anche dall’estero, da Malta, dalla Germania, dalla Francia, dalla Romania. Un "sentite condoglianze alla famiglia Riina" arriva da Rio de Janeiro. 

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Sono tutti ragazzi, che in comune non hanno la provenienza ma l’età e il sistema di valori, influenzato dal fascino per la mafia e per i valori della criminalità. Per chi si ispira a questi valori, se ne è andato un pezzo di storia: “Rip grande zio Totò Riina la vera storia della mafia".

 

Da questi ragazzi Totò Riina è considerato un grande a dispetto di chi lo ha combattuto, a dispetto delle centinaia di famiglie che ha distrutto nel corso dei decenni, a dispetto dello Stato italiano. Qualcuno sostiene che "era meglio che al suo posto morivano i politici che lo hanno fatto arrestare", altri giustificano le sue azioni con il fatto che è vero, ha ammazzato uomini di Stato, donne e bambini, però all’epoca in Sicilia si stava meglio e c’era lavoro. 

 

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