Estratto dell’articolo di Giuseppe Legato per “la Stampa”
«Lo hanno tradito il tumore e la bravura degli investigatori. Certo lui aveva allentato un po' le difese e se devo dirla tutta credo anche che non abbia, al momento, un erede che possa replicare il suo livello criminale. Qualcuno, nominalmente occuperà il suo posto, ma non a lui paragonabile».
Se c'è un magistrato che conosce, più di altri, i Corleonesi stragisti, di cui Messina Denaro era l'ultimo e tra i più crudeli interpreti, quello è Alfonso Sabella. Già sostituto procuratore nel pool antimafia di Palermo all'epoca in cui l'ufficio giudiziario era guidato da Gian Carlo Caselli, si è guadagnato (honoris causa) il soprannome di "Cacciatore di latitanti". Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Leoluca Bagarella sono solo alcune delle "prede" delle sue indagini. Senza contare che la sorella Marzia, attuale Pg a Palermo, era nel gruppo di magistrati che arrestarono Provenzano.
Chi muore con la scomparsa di Messina Denaro?
«Sarò franco: muore uno degli ultimi tre soggetti in grado di rivelare a questo Paese che cosa sia realmente accaduto dalla strage di Capaci a quelle continentali di Firenze, Milano e Roma».
Muore un capo?
«Non il Capo di Cosa nostra, da questo punto di vista mi permetta di dire che forse è stato un po' mitizzato. Peraltro è stata una sua scelta non diventare il numero uno dei Corleonesi».
Avrebbe potuto farlo?
«Certo: dopo l'arresto di Bagarella ha lasciato il testimone a Giovanni Brusca».
Strategia?
«Ha ritenuto di mettersi in attesa, si è rintanato nel mandamento di Trapani, suo territorio di elezione dove si sentiva (ed era) realmente protetto, ha stretto un rapporto di non belligeranza con Bernardo Provenzano e allo stesso tempo un'opera di sommersione criminale».
Perché lo ha fatto?
«Come Capo dei capi sarebbe stato iper-esposto con tutte le conseguenze del caso».
Quindi strategia giusta?
«Diciamo che aveva capito che l'approccio di attacco frontale allo Stato andava abbandonato e che sarebbe stato meglio lucrare sul potere criminale che certamente aveva acquisito per guadagnare economicamente».
C'è riuscito?
«Lui sì, ma con questa scelta, di fatto, ha impedito ai suoi luogotenenti di crescere».
Messina Denaro, dicono alcuni, si è sostanzialmente consegnato...
«Cazzate, non mi vergogno a dirlo».
Perché?
«Nella storia di Cosa nostra mi sono capitati pochissimi che si siano fatti trovare. Tendenzialmente erano coloro che sapevano che Cosa nostra li avrebbe ammazzati. […].
[…]
Che Cosa nostra è, quella orfana di Messina Denaro?
«La vedevo già boccheggiante prima. Ha saccheggiato la Sicilia fin troppo per quello che poteva prendere. E poi è fuori dal business più remunerativo delle mafie che è in mano alla ‘ndrangheta da tempo».
La droga?
«Il narcotraffico internazionale».
[…] C'è un erede del super boss?
«Al momento credo che nessuno possa replicare il suo livello criminale. Qualcuno nominalmente occuperà il suo posto, ma non a lui paragonabile. E poi l'asse centrale dell'organizzazione non è da tempo riconducibile al gruppo Corleonese».
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E dove è virato?
«È di nuovo a Palermo».
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