Lucilla Vazza per “il Messaggero”
La fase due si è aperta all' insegna della politica delle tre T - testare, tracciare e trattare, ma all' avvio della mobilità regionale, ancora non è chiaro se i cittadini avranno bisogno di organizzarsi in proprio per fare i test o se si procederà a screening mirati per monitorare la circolazione virale.
Le Regioni continuano a procedere in ordine sparso per cercare di limitare il rischio di nuovicontagi, dopo la conferma che il 3 giugno si riparte tutti insieme e finora, nessun presidente, nonostante le dichiarazioni e le minacce, al momento ha emesso ordinanze in contrasto con la decisione dell' esecutivo, perché sarebbero immediatamente impugnate. Domani dunque si riparte, senza altri Dpcm e, con tutta probabilità, senza ulteriori conferenze stampa del presidente Giuseppe Conte che considera ormai archiviata la questione riaperture.
Di qualche quota di rischio ha parlato il il presidente della conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini che in queste settimane ha svolto il ruolo di paciere tra le voci più o meno forti dei governatori e Palazzo Chigi.
le macchine che processano i tamponi
La domanda però resta, per i test, i cittadini dovranno organizzarsi autonomamente o ogni Regione procederà con una strategia mirata?
«Innanzitutto, mai è stata data l' indicazione di far da sé i test - precisa Pierluigi Lopalco, epidemiologo e coordinatore della task force della Puglia per l' emergenza Covid-19 - Il tema non è impedire la circolazione delle persone che non hanno fatto il test, ma offrire gratuitamente al cittadino la possibilità di farlo, a partire dalle aree dove oggi sappiamo che c' è maggiore circolazione del virus, ma va fatto ovunque.
In Lombardia in questo momento ci potrebbero essere più portatori del virus rispetto ad altri territori del Paese, quindi si potrebbe spingere la Regione Lombardia a scovare e mettere in sicurezza il più alto numero di casi. La politica delle tre T serve per fare il tracciamento delle catene di contagio, per chiuderle. È un' operazione che va fatta localmente e soprattutto va fatta bene con intelligenza e rapidità».
Lei consiglierebbe di partire con i tracciamenti in tutte le Regioni o solo dove c' è più contagio?
«Il monitoraggio per essere efficace e veritiero dev' essere massimo in tutte le Regioni. Perché se faccio un monitoraggio serio, e dimostro a chi di dovere ma anche all' opinione pubblica, che non c' è circolazione del virus, allora ho diritto di dire che nella mia Regione effettivamente è tutto sotto controllo.
MEDICI SI PROTEGGONO CON I SACCHI DELLA SPAZZATURA IN LOMBARDIA
Però questo si può sostenere dopo un buon monitoraggio, dati alla mano. Fatto questo, poi non vedo problemi per la libera circolazione delle persone. E vale in tutte le aree del Paese».
Non devono essere i cittadini a farsi carico di questi test?
«Assolutamente no. Il monitoraggio è un' azione di sanità pubblica che ha il compito di individuare e contattare i cittadini che hanno bisogno di fare il test. La politica di tracciamento non può essere fatta su base volontaria, ma dev' esserci una strategia e devono essere i dipartimenti di prevenzione a coordinare le azioni di tracciamento, individuando dove andare a cercare i portatori di virus».
la procedura del tampone test sierologici coronavirus
Si aspettava la richiesta di maggiore prudenza per la riapertura da parte delle Regioni con meno contagi, pensiamo al caso Sardegna
«La Sardegna, mi rendo conto che è banale dirlo, è un' isola, per cui è comprensibile che abbia paura dei casi di importazione forse più rispetto ad altri territori. Ma anche qui, se si dimostra che la circolazione del virus è bassa un po' ovunque, alla fine quello che vale, per esempio nel Lazio, vale anche per la Sardegna. Non ci sono roccaforti e le politiche devono valere per tutti. A patto però di applicare la strategia delle tre T che non sono un esercizio di stile, ma una strategia per ripartire con maggiore serenità».
COME SI ESEGUE UN TAMPONE 1 DI 2 test sierologici - coronavirus tampone