“LA VERITÀ” ALL’ASSALTO DELLA SERIE NETFLIX, “CUTIES”: “LE PROTAGONISTE, ANCHEGGIANO CON PREPOTENZA, SPINGENDO ALL'ESTERNO LE NATICHE. LA COMPONENTE SEDUTTIVA DI TUTTO CIÒ È PIUTTOSTO EVIDENTE, E FORSE NON CI SAREBBE NIENTE DI MALE SE A CIMENTARSI IN QUEST' ARTE DELLO SCULETTAMENTO NON FOSSERO DELLE MINORENNI - E’ LA SESSUALIZZAZIONE DELL'INFANZIA ED È ORMAI DIVENUTA UN TRATTO CULTURALE ABIETTO DELLA NOSTRA MORIBONDA CIVILTÀ”

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Francesco Borgonovo per “la Verità”

la serie cuties la serie cuties

 

«Amy, 11 anni, resta affascinata da un gruppo di ballerine di twerking. Nella speranza di aggregarsi a loro, inizia a esplorare la sua femminilità, rompendo le tradizioni di famiglia». Questa è (o era fino a qualche giorno fa) la sinossi del film Cuties proposta da Netflix. Amy, a 11 anni, «esplora la sua femminilità».

 

la serie cuties la serie cuties

La locandina del film era ancora più esplicita: quattro ragazzine, anzi bambine, con abiti da danza incollati alla pelle, pose ammiccanti e culo di fuori. Perché di culo si tratta, non del sederino di una bimba, ma di un culo da adulta esposto in bella vista, affinché possa suscitare desiderio negli spettatori.Cuties è stato scritto e diretto da Maimouna Doucouré, ha vinto un premio prestigioso (il World cinema dramatic directing award) all'altrettanto prestigioso Sundance film festival. Racconta di una ragazzina - anzi, bambina - di 11 anni figlia di genitori senegalesi, musulmani tradizionalisti, che decide di unirsi a un gruppo di ballerine coetanee.

 

la serie cuties la serie cuties

Le piccolette fanno twerking, cioè si esibiscono in una danza nata alla fine degli anni Ottanta nella comunità afroamericana, che consiste per lo più nell'ancheggiare con prepotenza, spingendo all'esterno le natiche. La componente seduttiva di tutto ciò è piuttosto evidente, e forse non ci sarebbe niente di male se a cimentarsi in quest' arte dello sculettamento non fossero delle minorenni.Fortunatamente, dopo una petizione presentata su change.org, Netflix ha deciso di rimuovere la locandina, cambiare il testo della sinossi e scusarsi per aver mandato messaggi sbagliati.

 

Il punto è che quello di Cuties non è affatto un caso isolato. All'inizio di agosto il problema si è proposto sostanzialmente identico con uno spot dell'Audi. Accanto a un'auto di grossa cilindrata e altrettanto robuste prestazioni era appoggiata una bambina (sicuramente con meno di dieci anni) abbigliata con un vestitino a fiori, un giubbetto di jeans e un paio di occhiali da sole, una Lolita in miniatura intenta a gustare una banana. Lo slogan: «Fa battere il tuo cuore più veloce, sotto ogni aspetto».

 

SPOT AUDI - LA BIMBA CON LA BANANA IN MANO SPOT AUDI - LA BIMBA CON LA BANANA IN MANO

Di nuovo sono arrivate proteste, e Audi ha dovuto scusarsi ribadendo di essere molto interessata alla salute dei bambini, e di non avere intenzione, in futuro, di usare altre immagini con così scarsa «sensibilità». Vogliamo fare un'altro esempio? In questi giorni circola su Sky e sulla Rete una immagine promozionale della Mostra del Cinema di Venezia. Il tweet di Sky recita: «Mostra di Venezia 2020: il festival è donna». Peccato che, appena sotto, ci sia l'immagine di una bimba con addosso soltanto canottiera e mutandine, ritratta mentre sfodera un'espressione da modella consumata.In realtà potremmo continuare ancora a lungo, elencando spot, film e serie televisive in cui ragazzine e ragazzini minorenni si presentano in atteggiamenti seduttivi, come se fossero adulti, e pure adulti piuttosto disinibiti.

 

Si chiama sessualizzazione dell'infanzia ed è ormai divenuta un tratto culturale abietto della nostra moribonda civiltà. Da una parte abbiamo quella che Jean Baudrillard chiamava «industria del desiderio». Niente di nuovo sotto il sole: già il filosofo rinascimentale Marsilio Ficino sosteneva che, con la forza dell'amore, si potesse attrarre qualunque essere umano, sostanzialmente manipolandolo. Ecco, se prendiamo l'amore in senso lato, considerandolo come desiderio, ci rendiamo conto che questa è la forza che il marketing utilizza per manipolarci.

 

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Il desiderio ci spinge a consumare e fra gli oggetti di consumo c'è ovviamente anche il corpo, persino quello dei bambini.Non dobbiamo stupircene, in fondo. Come notava Marcel Gauchet, oggi i bambini sono «figli del desiderio», nel senso che averli è «una scelta, non più una necessità». Come al supermercato si sceglie fra prodotti diversi, così possiamo scegliere a quale dinamica del consumo partecipare. E quando finalmente decidiamo di riprodurci, magari in tarda età e in cerca di una nuova «esperienza», non ci facciamo scrupoli.

 

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Anche i bambini sono in vendita, basta noleggiare una madre surrogata che li sforni per noi, se abbiamo problemi di fertilità o se semplicemente non ci va di ingrassare.Contemporaneamente, sono saltati tutti i limiti e i confini, compresi quelli fra le età della vita. Gli adulti tendono a restare bambini (adultescenti, li chiama Massimo Ammaniti) e ai bambini viene richiesto troppo presto di diventare adulti. Divengono grandi a metà. Possono spendere come adulti, navigare su Internet come adulti, cambiare sesso come gli adulti, avere una vita sessuale come gli adulti. Per tutto il resto, però, sono bloccati: spesso troppo curati e coccolati, privati dei divieti e di ogni rito di passaggio, del contatto con la natura e delle prove - anche rischiose - che creano gli uomini e le donne.

 

Eternamente prigionieri di una Grande Madre che li parcheggia in un Paese di Cuccagna incitandoli a godere di balocchi e profumi.Siamo tutti nella stessa barca: perennemente adolescenti, guidati dal desiderio senza limiti. Consumiamo e siamo a nostra volta oggetti di consumo. Per avere un valore sul mercato dobbiamo suscitare desiderio, contribuendo a creare quella che è, nei fatti, una «società della prostituzione».

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I minorenni mettono in vendita le loro vite sul Web, esibendosi su Instagram e altrove per guadagnare follower. Non potrebbero augurarsi niente di meglio per il futuro che avere successo e diventare influencer, così da guadagnare senza fatica. Se poi il prezzo di tutto questo è ridursi a merce, poco importa. In fondo, ogni cosa è commerciabile: la nazionalità, la cultura, il sesso biologico. Perché non dovrebbe esserlo il corpo di un minorenne?Allora lasciate che i bambini vengano a me, dice la voce. E di sicuro non è quella di Cristo.

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