Letizia Tortello per “la Stampa”
L' arma utilizzata per combattere secoli di cultura patriarcale è Weibo, uno dei principali social network cinesi. Un po' per caso, tra un blog e l' altro di questa piattaforma utilizzata da milioni di persone, è nato il primo forum dedicato al tema delle madri che vogliono attribuire il proprio cognome ai figli.
Ed è diventato un successo: 29 milioni di visualizzazioni. Troppo esplosivo per non tirarsi subito dietro un fiume di critiche.
Già, le donne vogliono avere uguali diritti, hanno detto in molti, poi non sono disposte ad assumersi gli oneri degli uomini, come ad esempio pagare un mutuo.
Ma sui social, la campagna per tramandare il cognome materno ha fatto discutere anche con un altro post, diventato famoso tra gli utenti di Weibo.
Una donna raccontava di aver divorziato dal marito perché lui si rifiutava di riconoscere al loro bimbo il suo nome: subito, 240 mila «mi piace». E anche qui, furioso dibattito. La discussione è stata definita «troppo estrema» anche da molte donne, che si vergognano di parlare di rivendicazioni come queste in pubblico. Il governo controlla le comunicazioni e negli ultimi anni ha dato un giro di vite su questi temi, punendo i movimenti femministi perfino col carcere.
Ma la battaglia per l' affermazione dei diritti femminili cresce, di pari passo con la consapevolezza di molte donne di vivere in una società profondamente diseguale, in matrimoni e famiglie in cui il figlio maschio riceve molte più attenzioni e sostegni materiali, spesso vitali, della femmina. Chi è in grado di tramandare il cognome, non ottiene solo favori, ma anche l' eredità.
La politica del figlio unico costata la vita a molte neonate, in fin dei conti, in Cina è rimasta in vigore fino al 2013. Ancora oggi, come ti chiami ha una bella importanza, come dimostra un' indagine condotta nel 2019 dalla All-China Women' s Federation, organizzazione no profit legata a Xi Jinping: oltre l' 80% delle donne cinesi, nelle zone rurali, non vede nemmeno comparire il proprio cognome sui documenti. Così com' era prima del 1950, quando il governo comunista ha sancito il diritto per le spose di mantenere la propria identità.
Ora, il desiderio di non sparire si sposta sui figli. La legge già consente di chiamare i bimbi col cognome materno, ma la cultura del Confucianesimo fondato sul valore del patriarcato ha consolidato la tradizione maschilista. Quando capita, il nome della madre passa al secondo nato, ma solo nelle zone più ricche come a Shanghai (dove quasi un bambino su 10 ha ricevuto il cognome materno nel 2018). Ben diversa è la situazione nelle campagne e nella stragrande maggioranza della popolazione.
Tanto che una delle portavoci di questo movimento femminista alla cinese, la professionista della finanza di Pechino Lydia Lin (270 mila seguaci su Weibo) ha capito che era il momento di insorgere. Ha rilanciato la campagna nata con l' hashtag «nome della madre tramandato» e ha fatto centro.
Migliaia di millennial si sono fatte sentire con coraggio: «Dobbiamo imporci nella nostra cultura, siamo qualcuno, possiamo farcela, non subito, ma possiamo farcela!», è lo slogan. Perché virale non è solo il Covid-19, ma anche la voglia di conquistare diritti.
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