È MORTO ROBERTO SANDALO, IL PENTITO DI “PRIMA LINEA” CHE RIVELÒ LA MILITANZA DEL FIGLIO DI DONAT CATTIN E PORTÒ COSSIGA ALLA SBARRA PER FAVOREGGIAMENTO E DI RIVELAZIONE DI SEGRETO D’UFFICIO

“Roby Il Pazzo” è morto in carcere, dopo infinite giravolte che lo hanno portato, dal terrorismo rosso, a posizioni leghiste e islamofobe - Era tornato libero, nonostante gli omicidi “rossi”, dopo solo due anni di carcere - Entrò nelle “camicie verdi padane” da cui poi fu espulso - Con le sue rivelazioni azzerò “Prima Linea”…

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Mario Baudino per "La Stampa"

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Aveva tanti nomi: Roby il pazzo, il comandante Franco, l'alpino. Ed era un uomo invisibile, nella Torino di fine Anni 70, grigia e rugginosa, triste e spaventata. Roberto Sandalo passava inosservato, nessuno sembrava badare a lui: poi, nei momenti decisivi, compariva improvvisamente sulla scena, diventava il protagonista.

Con le sue confessioni ha permesso di smantellare Prima Linea, la formazione terroristica composta prevalentemente da studenti nata da una costola di Lotta Continua. Ha messo in crisi il sistema politico italiano, decretando la caduta di Carlo Donat Cattin e mettendo l'allora presidente del consiglio, Francesco Cossiga, in una situazione difficilissima, fino a sfiorare la crisi di sistema.

Roby il pazzo, arrestato poco dopo Patrizio Peci, il primo pentito delle Br, aveva infatti parlato dei delitti e dell'organizzazione di Prima Linea, ma anche della carriera terrorista - fino ad allora ignota - dell'amico Marco, figlio dell'esponente democristiano: e soprattutto degli abboccamenti con la famiglia, informata dal premier.

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C'era di che ipotizzare per Cossiga un reato di favoreggiamento e di rivelazione di segreto d'ufficio. Il leader Dc fu salvato con una risicata maggioranza dalle camere riunite, Sandalo ebbe dalla giustizia italiana un perdono generalizzato per una serie impressionante di reati, riassunti in 110 capi d'accusa.

Aveva ucciso, cominciando da un vigile urbano di guardia al liceo scientifico Galileo Ferraris, la scuola dove era nata l'amicizia con Marco Donat Cattin. I due compagni del «Galfer» restano simboli - anche se ormai un po' appannati - di una tragedia italiana che non bisognerebbe considerare archiviata.

Una tragedia culturale, prima che politica. I loro destini sono complementari. Marco, che tentò una difficile via di reinserimento nella società, morì travolto da un'auto mentre cercava di dare aiuto alle vittime di un incidente stradale. Roberto Sandalo è morto in carcere, dopo infinite giravolte che lo hanno portato su posizioni leghiste, islamofobe, razziste.

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Era tornato libero, per gli omicidi «rossi», molto presto, nell'82. Forse troppo presto. Aveva ucciso, e da allora la sua guerra non era più finita. Divenne un leader delle «camicie verdi padane», abbracciò un'altra paranoia. L'alpino (il soprannome gli venne dal servizio militare, sottufficiale nelle penne nere) era stato precoce nella rabbia, e incapace di uscirne.

Era un personaggio a suo modo simbolico: lo sguardo sfuggente, un amore per il dietro le quinte (tanto che nella onnipresente deriva complottistica fu spesso sospettato di appartenere ai servizi segreti) che esplodeva in fulminei colpi di teatro. Era una volontà di potenza non priva di vittimismo, la sua, oltre (o al di sotto) delle ideologie. Ha dimostrato che gli andavano tutte bene.

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Stanco di Prima Linea, nel 1980 era riuscito a contattare Patrizio Peci, poco prima dell'arresto. Gli raccontò tutto, fra le giostre che allora occupavano la torinese piazza Vittorio, per propiziare un salto di qualità che certo gli sarebbe riuscito, se i carabinieri di Dalla Chiesa non fossero piombati nella mansarda del terrorista, destinato a diventare il primo pentito.

Fu anche lui vittima di quelle confessioni, ma rilanciò confessando di più, molto di più. Nei verbali dove descriveva la famiglia Donat Cattin praticamente ai suoi piedi, perché avvisasse Marco e gli consentisse con ciò, quantomeno, di riparare all'estero - dica o meno la verità - c'è il compiacimento di chi finalmente ha tutto lo spettacolo per sé.
Da allora però le cose cambiarono.

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Roby il pazzo era rimasto un orfano di quegli anni grigi, claustrofobici. E benché i nuovi proscenii disponibili fossero cupi e ridicoli, ha continuato a provarci, fino a prendersela con le moschee (mettendoci le bombe «da uomo di sinistra») come disse in un'intervista. Che cosa intendesse per sinistra, è una domanda senza risposta. Ma non è quella più importante.

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