Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
COCAINA OPERAZIONE ANTI NDRANGHETA 4
Il messaggio telefonico partì che in Italia era notte, all’1,23 del 5 marzo scorso. Inviato dal Costa Rica e scritto in spagnolo: «Llame», chiama. Il destinatario, in Calabria, dormiva. Quando si svegliò e lo lesse s’era fatta notte dall’altra parte dell’Oceano, così Franco Fazio attese il pomeriggio per telefonare ad Arnoldo Guzman Rojas. Dovevano parlare di droga, un carico da cento chili di cocaina da recapitare nel porto di Gioia Tauro.
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«Io sono pronto con la compagnia, ho dato il nome, tutto», disse Fazio. Guzman proponeva di coinvolgere altri acquirenti, ma Fazio era preoccupato per la sicurezza della spedizione, dopo aver subito diversi sequestri negli Stati Uniti: «Lì non avete problemi, vero?... Siete sicuri? Per i cani e le telecamere avete problemi voi?». Guzman lo rassicurò: «Qui noi non abbiamo problemi con queste cose».
Ma c’erano le microspie in funzione, e gli investigatori del Servizio centrale operativo della polizia (Sco) e della Squadra mobile di Reggio Calabria avevano già seguito Fazio nei suoi viaggi in Centro America. Durante i quali incontrava proprio Guzman e soci. Così a maggio è finito in carcere l’italiano, insieme a Gregorio Gigliotti — calabrese trapiantato a New York che gestiva gli affari dal ristorante «Cucina a Modo Mio», nel Queens — moglie e figlio, accusati di narcotraffico per conto di una fazione di ‘ndrangheta vicina alla cosca Alvaro. E il costaricense è stato arrestato ieri, in un blitz eseguito a San José su ordine della Procura antimafia di Reggio Calabria, con altri quattro concittadini e due cubani, presunti approvvigionatori del cartello italo-americano. Almeno 3.500 chili tra il 2014 e il 2015, calcolano gli inquirenti.
Ora il cerchio è chiuso. Partita dall’Italia sulle tracce di sospetti emissari dei clan calabresi, l’inchiesta è arrivata prima negli Stati Uniti, dove è stato individuata la centrale di Gigliotti e Fazio che facevano da mediatori; e adesso in Costa Rica, con l’individuazione e l’arresto di coloro che ricevono la droga dalla Colombia (il fratello e il nipote di Guzman sono stati fermati un anno e mezzo fa insieme a un colombiano, accusati di una spedizione verso l’Olanda) e la smistano agli emissari della ‘ndrangheta.
Per la prima volta i magistrati guidati dal procuratore Federico Cafiero de Raho hanno messo le mani sui fornitori della mafia calabrese. E Andrea Grassi, direttore di divisione dello Sco, commenta: «Questa indagine è la rappresentazione concreta di ciò che è diventata la ‘ndrangheta, delle sue proiezioni internazionali».
Le intercettazioni raccolte dalla polizia svelano i contatti in Costa Rica attraverso le telefonate di Gigliotti e Fazio. Un anno fa, 5 settembre 2014, Guzman chiama il ristoratore del Queens, che s’era temporaneamente spostato in Calabria: «Armando, come stai?... Io sono qui in Italia, sto facendo affari qua... Hai mandato un container là?». Il costaricense risponde di no perché non ha ancora ricevuto i soldi, e Gigliotti lo tranquillizza: «Ti mando a mio cugino Franco (Fazio, ndr ), che sono con lui qua».
POLIZIA OPERAZIONE ANTI NDRANGHETA
Gli investigatori in ascolto lo seguiranno nella trasferta, e lo fotograferanno mentre consegna a Guzman e a un suo socio 170.000 euro in contanti. Avuta assicurazione dei soldi in arrivo, Guzman domanda: «Dimmi una cosa... Yucca o ananas, che ti serve di più?». Gigliotti, parlando del corrispettivo in denaro che avrebbe spedito in Costa Rica, ribatte: «Ti mando come... come 20... 20 ananas», cioè venti chili di cocaina, secondo l’accusa.
In un colloquio del 2 marzo 2015 tra Fazio e Juan Campos Moras, altro costaricense arrestato ieri, l’italiano sostiene — forse per lucrare sulla fetta destinata a lui — che i guadagni si sono ridotti a causa dell’abbassamento dei prezzi, dovuto alla concorrenza : «Qui di ananas e banane ci sono molte persone che le vendono... Gente con un nome...».
Per i magistrati il riferimento è alle famiglie di ‘ndrangheta che, spiega il procuratore aggiunto di Reggio Nicola Gratteri, «nemmeno aprono il pacco quando arriva, ma lo smistano ai nigeriani e ad altri gruppi che poi si occupano della vendita al dettaglio. Da Roma in su, fino a Milano».