Teodoro Chiarelli per “la Stampa”
In ordine sparso e a macchia di leopardo. L' Italia al tempo del coronavirus rimane immutabile a se stessa: il Paese dei mille campanili. A decidere se un' azienda può riprendere a produrre dopo tre settimane di blocco causa Covid-19, se l' area è sicura o meno, ovvero se è possibile riavviare i motori delle imprese sono i prefetti. I criteri, sulla carta rigidissimi, variano nella realtà in base alla sensibilità dei singoli funzionari, delle pressioni, del peso politico, del rapporto con il territorio.
Ferma restando, si spera, l' adozione da parte delle aziende abilitate di tutta una serie di prescrizioni per assicurare condizioni di lavoro nella massima sicurezza. Il che significa la fornitura di mascherine, guanti e tute protettive per evitare contagi. Insieme a procedure ad hoc per sanificare ambienti di lavoro e catene di montaggio.
Così se in Provincia di Padova ieri hanno riaperto 139 aziende, in quella di Treviso sono 1.440 le aziende autorizzate dalla prefettura a lavorare, più del 90% di quelle che avevano presentato domanda e 400 a Belluno. Secondo i sindacati, che storcono il naso e minacciano fuoco e fiamme, sarebbero 15 mila solo in Veneto le aziende pronte a riaprire.
Mentre al ministero dell' Economia risulta che nella sola giornata di venerdì nell' intero Paese sono state presentate 14 mila domande di deroga. Secondo i sindacati, molte aziende in realtà non hanno attività indispensabili, ma puntano sul silenzio-assenso delle istituzioni «Siamo di fronte a un evidente aggiramento del decreto di sospensione delle attività, in assoluto spregio della salute pubblica».
Il governo sta lavorando, comunque, a una fase due che preveda finalmente un piano organico di riavvio graduale delle attività produttive. Dovrebbe arrivare subito dopo Pasqua con l' inserimento di attività produttive come metalmeccanica, ceramica e raccolta nei campi, con l' obbligo di mascherine e distanziamento fisico, con supervisione dei prefetti.
A scorrere l' elenco delle imprese che hanno chiesto di riaprire i battenti ieri mattina, c' è la Arneg, storico marchio di Campo San Martino leader nella produzione dei banchi frigo, la Maschio Gaspardo che produce trattori e macchine agricole a Campodarsego, la Pavan di Galliera che realizza macchine per la pasta.
Riaprono due reparti (finiture e spedizioni) delle Acciaierie Venete di Alessandro Banzato, presidente di Federacciai, le vicentine Triveneta Cavi, Lowara e Forgital. Poi la Ima-Saf di Cittadella, la Fratelli Beltrame di Campodarsego (prodotti per edilizia e idraulica), la Steel Systems di Brogoricco, la Modelleria Griggio di Vigodarzere, la Intertrade (profumeria di ricerca per grandi brand internazionali), Officine Meccaniche Carraro, Steel System,. Poi cartiere, impiantisti, cooperative, professionisti, operatori dell' audio-video.
«La decisione di demandare la ripresa alle prefetture può dar luogo a decisioni non uniformi nei territori anche in province contigue», ammette Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto. E non è solo questione di competitività dell' Azienda Italia. Guardiamo al settore dell' acciaio.
«C' è la necessità - spiega Alessandro Banzato - di approvvigionre clienti nazionali che dipendono dalla siderurgia per realizzare beni essenziali in settori come l' agroalimentare, il biomedicale, l' energia e i trasporti. Emblematico è il caso della Malvestio, azienda nel padovano che produce letti di alta gamma per la terapia intensiva e quindi indispensabili per l' attuale potenziamento dei reparti ospedalieri. La scorsa settimana stavano per fermare la produzione perché avevano finito le scorte di lamiere e tubi profilati».
Ieri a Genova è ripresa la produzione nello stabilimento Arcelor Mittal di Cornigliano fermo dal 23 marzo. Un avvio graduale del ciclo della banda stagnata per produrre le lattine per le conserve di pelati, salsa e tonno. E' l' unica a produrla in Italia. A Terni è iniziata la riattivazione degli impianti siderurgici dell' Ast: entro mercoledì tutti i reparti torneranno nelle condizioni di produzione standard anche se programmati per il 50% della capacità.
«Abbiamo richieste - spiega l' azienda - da tutto il mondo». In Valle d' Aosta, la Cogne Acciai Speciali ha riaperto alcuni reparti destinati, da domani, ad assorbire 260 dipendenti, il 23% del totale. A Cuneo, invece, è ripresa dopo tre settimane di stop la produzione di pneumatici dello stabilimento Michelin. Ma c' è anche chi, come la Seac Sub di Colombano Certenoli sopra Chiavari (Genova) è stata autorizzata a ripartire perché ha riconvertito parte della produzione: realizzava maschere per immersione.
Ora, grazie a un filtro sanitario stampato in 3D e applicato al posto del boccaglio, produrrà maschere anti virus.
2 - EPIDEMIOLOGI E SINDACALISTI PREDICANO CAUTELA. UN CORO DI NO: "TROPPO PRESTO PER RIPRENDERE"
Maria Rosa Tomasello per “la Stampa”
Nessuna riapertura. «Qualunque modifica dell' attuale stato di contenimento porterebbe in tempi brevissimi al ritorno in alto della curva epidemica - avverte Pierluigi Lopalco, epidemiologo dell' Università di Pisa - Dobbiamo prima consolidare questo risultato. Non si può semplicemente dire: riparte questo o quel settore. Serve una roadmap, o torniamo punto e a capo. Bisogna salvare i posti di lavoro, ma anche i lavoratori». La scelta è politica ma, mentre decine di aziende in tutto il Paese riaprono, la scienza mette in guardia. Difficile dire quando sarà il momento giusto: «Se io oggi mi infetto, avrò i sintomi tra una o due settimane, e il dato sarà registrato dal sistema qualche giorno dopo - spiega Lopalco - Quello che vediamo oggi si riferisce a eventi accaduti 7-10 giorni fa, non guardiamo il futuro ma il passato, e per sapere quello che avverrà dobbiamo consolidare molto questa curva in discesa».
I tamponi o i test sierologici, dice, saranno «una piccola parte della strategia: la sicurezza è data dal fatto che il virus non circola, e se circola servono barriere tra una persona e l' altra». È presto pensare che il 14 aprile possa esserci la completa riapertura del sistema produttivo, commenta Italo Angelillo, presidente della Società italiana di Igiene (SItI): «La programmazione del rientro in fabbriche, in aziende e uffici richiede una attenta valutazione dell' evoluzione della curva epidemica nei prossimi giorni. In questa fase sta andando verso un appiattimento ma non è sufficiente per programmare un allentamento delle restrizioni».
I dati, sottolinea, sono incoraggianti: «Ma la condizione indispensabile, per una riapertura anche graduale iniziando da servizi essenziali, è garantire la salute dei lavoratori e riuscire a ridurre la probabilità di contagio tra asintomatici sia nella fase degli spostamenti casa-lavoro che, soprattutto, nei luoghi di lavoro».
Per Davide Faraone, capogruppo in Senato di Italia Viva, il partito che in maggioranza spinge sull' acceleratore della "fase 2", è invece «indispensabile» riaccendere i motori: «Ci sono tanti settori economici in cui, se ai lavoratori viene assicurato un regime di protezione totale, con distanze di sicurezza, mascherine e guanti forniti dalle aziende o da kit di Stato, le aziende devono assolutamente ripartire. Penso per esempio a un settore come l' acciaio, dove rischiamo di perdere quote di mercato. Oggi abbiamo lanciato una petizione per far sì che, se le scuole resteranno chiuse, in questi mesi si aprano cantieri per metterle in sicurezza. Pensiamo lo stesso per le strade delle città deserte. Se per il vaccino passeranno mesi, o un anno, non possiamo tenere chiusa la nostra economia».
La Cgil dice no a fughe in avanti. «Siamo preoccupati davanti a una corsa alla ripartenza che non è legata, a oggi, ad alcun dato ottimistico, il lavoro fatto non va disperso», dice Tania Sacchetti, componente della segreteria nazionale. «C' è un tentativo di forzare, così come abbiamo individuato in quella parte del decreto che legittima le singole prefetture ad autorizzare deroghe alle aziende una parte del problema: se scatteranno principi di deroga ci sarà la rincorsa da parte di aziende simili. Il sacrificio chiesto è importante, il detrimento all' economia rischia di essere significativo, però forse è meglio lavorare a misure di sostegno al sistema produttivo. Tra le priorità abbiamo sempre messo la salute dei cittadini e quindi dei lavoratori».