NON TUTTI GLI INFLUENCER VENGON PER NUOCERE - LILY EBERT, LA 98ENNE SOPRAVVISSUTA AD AUSCHWITZ CHE RACCONTA L’OLOCAUSTO AI SUOI 1,6 MILIONI DI FOLLOWER SU TIKTOK - NEI CAMPI DI STERMINIO DI AUSHWITZ E BUCHENWALD VENNERO UCCISI UN FRATELLO, UNA SORELLA E LA MADRE, MENTRE LEI E ALTRE DUE SORELLE SI SALVARONO RAGGIUNGENDO LA SVIZZERA E POI ISRAELE PRIMA DI TRASFERISRSI A LONDRA – “POSSO RACCONTARE COSA È SUCCESSO MA NON RIESCO A RICORDARE LE EMOZIONI. SI POTEVA SOPRAVVIVERE SOLO NON PROVANDO NULLA”

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Caterina Soffici per “la Stampa”

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Sono le piccole cose a rendere epiche certe storie. E questa inizia con una frase: «Buona fortuna e felicità». È quanto scrisse un soldato ebreo americano su una banconota che regalò nel maggio 1945 a una ragazza appena liberata dal campo di Auschwitz. Quella ragazza si chiama Lily Ebert e ha compiuto 98 anni lo scorso 29 dicembre e quel piccolo gesto di umanità e di speranza ha segnato l'inizio della sua seconda vita, da sopravvissuta all'Olocausto. 

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E grazie a quella banconota è cominciata anche la sua terza vita da star di TikTok, dove racconta la Shoah ai giovani, con 1,6 milioni di follower e con 25 milioni di like. La storia è questa. Lily Ebert è la maggiore di una numerosa famiglia di ebrei ungheresi, quando a vent' anni viene deportata. Nei campi di sterminio di Aushwitz e Buchenwald vengono uccisi un fratello, una sorella e la madre. Lei e altre due sorelle si salvano, fingendosi più giovani della reale età riescono a raggiungere la Svizzera e poi Israele dove col tempo si ricostruisce una vita, si sposa, nascono i suoi tre figli. Poi si trasferisce a Londra. 

 

L'impossibilità di ricordare per non rivivere il passato, la volontà di guardare avanti per non rimanere intrappolati nel dolore della memoria, il senso di colpa verso i sommersi: come è successo a molti salvati per anni Lily non ha potuto parlare di Olocausto. Non poteva raccontare il terrore, l'odore ripugnante delle ciminiere dove stavano cremando la tua famiglia, le umiliazioni, i capelli e i peli del pube rasati, la vergogna, la paura, la fame (per tutta la vita ha dovuto tenere sempre con sé un pezzo di pane), i cadaveri delle compagne, la selezione, i medici che lavorano con Josef Mengele, l'angelo della morte. 

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Si vergognava anche di mostrare quel tatuaggio sul braccio, con il numero A-10572, che nasconde anche ai figli. Come biasimare chi vuole solo dimenticare? Solo quarant' anni dopo quel maggio del 1945, rimasta vedova e con i figli grandi, Lily trova la forza di tornare ad Aushwitz e di onorare la promessa che si era fatta nel campo: se sopravvivo racconterò cosa è successo, perché il mondo non ci crederà, come non ci credevamo noi; e perché una cosa del genere non accada più. Inizia così ad andare nelle scuole, a impegnarsi con associazioni e progetti che tengono viva la memoria, soprattutto le interessa parlare con i giovani. 

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Talvolta si siede su un divano nel mezzo alla stazione della metropolitana di Liverpool Street, una delle più caotiche, convulse e congestionate della rete londinese, e invita i passanti a farle compagnia e a parlare di Olocausto. È la sua promessa, lo deve a sua madre e ai suoi fratelli e a tutti gli altri uccisi nei campi. Dice: «Posso raccontare cosa è successo ma non riesco a ricordare le emozioni. Si poteva sopravvivere solo non provando nulla». 

 

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Finché non scoppia la pandemia. Anche la battagliera nonnina è costretta a chiudersi in casa. Ma non vuole interrompere la sua opera di divulgazione contro l'odio antisemita. E qui interviene il pronipote Dov (ha 10 nipoti e 34 pronipoti), che le propone di fare una lezione su Zoom. Poi posta il link sul suo account Twitter: 65 like, non male pensa. Ma non sa cosa sta per accadere. Perché mentre la bisnonna sfoglia gli album del passato, salta fuori questa banconota, con la scritta del soldato. Chi era? Non si sa. Lily pensava fosse una cosa preziosa solo per lei. 

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Dov le dice che grazie alla Rete lo ritroverà. Posta la foto del biglietto e nel giro di poche ore il tweet ha ottomila notifiche e un milione di visualizzazioni. Inizia una caccia internazionale al soldato gentile. Scopriranno che è morto, ma riescono a mettersi in contatto con la famiglia. L'onda sui social media è partita. E proseguirà su TikTok, dove i dialoghi tra bisnonna e pronipote sulla Shoah diventano virali, totalizzano milioni di visualizzazioni. 

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Alla fine scrivono anche un libro, che nel Regno Unito è stato un bestseller. In Italia è pubblicato da Newton Compton, con il titolo: Mi chiamo Lily Ebert e sono sopravvissuta all'Olocausto. Se io fossi un insegnante, lo adotterei per i miei studenti e ne farei una lettura obbligatoria. E li obbligherei anche a vedere i video su TikTok.

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