Filippo Fiorini per “La Stampa”
Il comune di Pontedera li ha rimossi, a Cesena li hanno segnalati davanti a una scuola. Piacenza e Treviso hanno chiamato l'avvocato per capire se c'è un illecito e toglierli, e così ha fatto anche Bologna, dove però più che altrove è scoppiata la polemica per la nuova campagna nazionale dell'associazione Pro Vita e Famiglia: «Basta confondere l'identità sessuale dei bamnini. #stopgender», c'è scritto nelle affissioni che compaiono in strada insieme alla foto di un bimbo imbronciato a cui una mano maschile con smalto arcobaleno propone un rossetto e, dall'altra parte, una femminile mette un papillon rosa.
«Si tratta solo di una raccolta firme affinché le famiglie possano scegliere cosa si insegna ai figli in tema di educazione sessuale», dicono i promotori. «È discriminante e strumentalizza i bambini per portare avanti idee sciocche come la presunta teoria gender», ritiene invece Matteo Lepore, sindaco della città in cui, nelle scorse notti, molti di questi manifesti sono stati strappati.
La prima ad alzare la voce era stata Emily Clancy, vicesindaca con deleghe, tra l'altro, a differenze di genere, diritti Lgbt, contrasto alle discriminazioni. Trentaduenne, italo-canadese, Clancy è emersa nel panorama della sinistra locale promettendo di «fare di Bologna la città meno diseguale d'Europa» e, ieri l'altro, ha definito queste immagini «lesive della dignità, delle libertà politiche, della libera espressione di genere», aggiungendo che «propongono stereotipi inaccettabili e idee discriminatorie». Poi, ha spiegato che nella cornice del supporto di affissione compare il simbolo del Municipio perché le pubblicazioni sulle bacheche comunali «seguono un iter autorizzativo che non prevede un controllo previo».
Della stessa opinione il primo cittadino, Lepore, che ha confermato di aver «chiesto un parere legale (per poter procedere alla rimozione, ndr), visto che riteniamo la cosa contraria a quelli che sono i principi del rispetto delle persone». Dall'associazione Pro Vita, celebre per le campagne provocatorie contro aborto ed eutanasia, il referente bolognese Francesco Perboni denuncia una limitazione della libertà d'espressione e spiega: «Le associazioni Lgbt possono entrare nelle scuole con progetti su bullismo o discriminazione. Cose sacrosante, se non insegnassero anche la teoria di genere, cioè che il genere è scollegato dal sesso biologico. La libertà educativa dei genitori in Italia è già compromessa in centinaia di casi, il principio del loro consenso informato viene surclassato».
«Mostrare un bambino con un fiocchetto rosa, dicendo implicitamente che così non sarebbe una persona a posto, significa discriminare», ribatte invece Lepore, il quale, oltre la questione meramente legale, invita a «ragionare sulla complessità del tema nei giusti ambiti, senza strappare i manifesti, né usare il corpo dei bimbi per esprimere un'idea».
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