DAL PALLONE ALLA JIHAD – MUORE IN SIRIA BURAK KARAN: AVEVA GIOCATO NELL’UNDER 17 TEDESCA, POI LA “CONVERSIONE” AL FONDAMENTALISMO ISLAMICO

Dal calcio al kalashnikov: l’incredibile storia di Burak Karan morto sotto le bombe sganciate dai caccia di Assad – Lo ricorda anche K.P.Boateng: “Non dimenticherò mai il tempo passato insieme, tu eri un vero amico” - L’ex allenatore dell’Hannover 96: “Negli spogliatoi Burak aveva il suo tappeto per le preghiere”…

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Matteo Alviti per "La Stampa"

Secondo qualcuno era un talento che avrebbe potuto sfondare nel mondo milionario del calcio internazionale. Ma dalla Bundesliga e dalla nazionale tedesca under 17, dove ha giocato nel 2003, è invece finito nel giro della jihad radicale in Siria, al fianco dei ribelli contro i soldati del regime di Bashar al Assad. E proprio in Siria ha trovato la morte a 26 anni, una settimana fa. È stato dilaniato da una bomba esplosa solo due chilometri a sud del confine con la Turchia, da dove proviene la sua famiglia.

KaranKaran

Burak Karan non c'è più. E i suoi amici di un tempo, campioni del calibro dell'ex milanista Kevin-Prince Boateng e di Sami Khedira del Real Madrid, con cui l'islamista aveva giocato in nazionale, non riescono a farsene una ragione, racconta il tabloid «Bild», che per primo ha dato notizia della morte. «R.I.P. fratello mio Burak K.!! Non dimenticherò mai il tempo trascorso insieme, tu eri un vero amico!!», ha scritto in un tweet con tanto di foto del giovane scomparso Boateng, che oggi gioca nello Schalke 04.

Karan è morto sotto le bombe sganciate dai caccia di Assad in una cittadina vicino Azaz. I tempi della nazionale e del vivaio dell'Herta Berlino, quelli del viso di adolescente con i capelli tagliati corti squadrati, come tanti altri giovani della sua età, sembrano lontani un'eternità.

L'ultima sua immagine arriva da YouTube, postuma. Karan stavolta ha la barba, l'espressione di sfida. E nella mano destra tiene un kalashnikov. «I mujaheddin di Azaz hanno raccontato di come abbia fatto irruzione nel territorio degli infedeli come un leone, con la gioia di combatterli», recita una voce nel video.

Burak KARANBurak KARAN

Karan non è il primo occidentale a morire sul fronte siriano. Secondo un rapporto dello scorso aprile del Centro britannico internazionale per gli studi sulla radicalizzazione (Icsr) sono tra duemila e seimila gli stranieri che sono scesi nel vivo del conflitto dal 2011. Tra questi circa 600 sarebbero europei, 200 dei quali provenienti dalla Germania secondo stime dei servizi tedeschi rese note dal settimanale «Der Spiegel».

Ma suo fratello Mustafa non vuole credere alla possibilità che Burak fosse diventato un islamista combattente: «Mi diceva che carriera e denaro non gli importavano. Invece cercava sempre video in Internet dalle zone di guerra. Era disperato, pieno di compassione per le vittime.

Così ha iniziato a cercare modi di aiutare i suoi fratelli nella fede». Finendo però nella rete di Emrah Erdogan, un salafita pregiudicato entrato nel mirino dei servizi interni tedeschi. Con moglie e due figli Karan sarebbe partito per la Siria per distribuire meglio gli aiuti, sostiene ancora il fratello. «Burak parlava solo di jihad e altre cose di guerra», ammette però la sorella Zuhal. Sarà forse la procura generale dello Stato, che al momento sta indagando su Karan per sostegno a una rete terroristica internazionale, a far luce sulla vicenda.

«Burak andava spesso in moschea e viveva secondo il corano», racconta oggi alla «Bild» Abdenour Amachaibou, coetaneo tedesco-marocchino che gioca in una squadra di terza divisione e che lo conosceva dall'età di nove anni. Col tempo «si è allontanato sempre di più da quelli che non si comportavano come lui», ha aggiunto.

Burak KARANBurak KARAN

L'ex allenatore dell'Hannover 96, Marcus Olm, ricorda come «Burak già allora fosse molto credente. Negli spogliatoi aveva persino il suo tappeto per le preghiere. Ma nessuno poteva immaginare che sarebbe diventato un estremista islamico».

«Burak un terrorista? Impossibile!», ribatte un compagno di squadra dei tempi dell'Hansa Rostock, Mustafa Kucukovic, che con lui ha mantenuto i contatti fino a due anni fa: «So che stava raccogliendo fondi per la gente in Siria. Voleva solo aiutare».

 

 

 

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