ROBERTO GIARDINA per il Resto del Carlino
Cresce la paura all'est per l'Ucraina, dalla Polonia al Kosovo. Potrebbe divampare trenta anni dopo un nuovo conflitto nei Balcani, a pochi chilometri dall'Italia? Domenica, in Ungheria ha vinto per la quarta volta il filorusso Viktor Orban. Era previsto, ma si sperava che le notizie atroci del conflitto in corso, rendessero più prudenti i magiari.
E ha vinto anche in Serbia, il presidente Aleksandar Vui, considerato un fedele alleato di Mosca. Ha battuto per 60 a 18 lo sfidante, il miliardario filoccidentale Zdravko Pronos. Il suo partito progressitsta, l'SNS, ha ottenuto quasi la maggioranza dei seggi, 122 su 250.
Si teme che, in difficoltà in Ucraina, Putin potrebbe aprire un nuovo fronte a sud, nei Balcani. Calcolando i rischi, dovrebbe essere poco probabile, ma anche alla vigilia dell'attacco all'Ucraina, in febbraio, prevaleva l'ottimismo. E in Bosnia, in Kosovo, e in Montenegro aumenta il timore. Il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, si è affrettato ad assicurare alla Bosnia- Herzegovina e alla Georgia l'appoggio incondizionato della Nato. Il gigantesco Vui, 52 anni, un metro e 99, a Belgrado è stato votato perché è un difensore della patria.
I serbi si considerano le vittime dell'Occidente, aggrediti dalla Nato a causa del Kosovo, indipendente dal 2008, ma mai riconosciuto. Il Kosovo ha giustificato agli occhi di Putin l'annessione della Crimea nel 2014. E la Russia ha sempre bloccato il suo ingresso alle Nazioni Unite. Per partecipare al voto, i serbi residenti in Kosovo sono stati portati in bus oltre confine. Una provocazione per il governo di Pristina.
La Serbia è divisa tra interessi economici che la spingono verso Bruxelles e l'orgoglio nazionale, e il desiderio di rivincita, che rafforzano i legami con la Russia. Nel 1998, Vucic era ministro all'informazione del presidente Miloevi, poi condannato come criminale di guerra. Durante le guerre nei Balcani, giornali e tv, controllati da Vui, hanno sempre occultato o minimizzato i crimini di guerra compiuti dai serbi. Vui ha seguito come giornalista il conflitto con la Bosnia, da cui sono originari i suoi nonni paterni. I Balcani formano un intreccio fragile, e i confini non corrispondono con le enclaves delle minoranze, serbi in Bosnia, e bosniaci in Serbia.
Vui ha sempre tenuto vivo il sogno di una grande Serbia che riconquisti i territori perduti, non solo il Kosovo, e riunisca il suo popolo. In Montenegro nei giornali e alla Tv si è apertamente a favore di Putin: l'elite economica e politica del paese è in grande maggioranza filorussa.
La Serbia ha condannato all'Onu l'attacco all'Ucraina, ma è l'unico paese europeo, oltre la Bielorussia, a non partecipare alle sanzioni contro Mosca. I rapporti economici sono molto stretti, e Putin vende il gas a Belgrado, a prezzi scontati. In cambio, Vucic ha acquistato armi russe, e ha partecipato alle manovre militari insieme con Russia e Bielorussia, chiamate «Alleanza slava». In Bosnia danno per scontato che in caso di un nuovo conflitto con Belgrado Putin darebbe il suo appoggio militare a Vui.
A Belgrado da quando è iniziato il conflitto in Ucraina si ripetono le manifestazioni a favore di Putin. Come reagire? Si chiede di accelerare l'ingresso di Serbia, Bosnia, Kosovo e Montenegro nella Unione Europea, e allo stesso tempo si teme che Putin possa reagire. Anche la UE è un'alleanza militare, anche se non è mai riuscita ad realizzare un esercito comune.
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