Francesca Pierantozzi per “il Messaggero”
Destro, sinistro, destro. La più piccola ha quattro anni, è in prima fila, tira e scarta con la leggerezza e la velocità di una libellula. Sullo sfondo, il mare di Gaza, davanti a lei, l' allenatore Osama Ayob, intorno, passanti e curiosi che si fermano a guardare questo gruppo di ragazze in tuta grigia, capelli lunghi stretti in code di cavallo, che tirano ganci, montanti e diretti.
Saranno una ventina, e sognano tutte la stessa cosa: andare in Kuwait a febbraio, a disputare il loro primo campionato, diventare la prima nazionale palestinese di boxe femminile. Ragazze che salgono sul ring a tirare i pugni non rispondono precisamente allo stereotipo femminile veicolato dagli integralisti di Hamas al potere. Ma le pugili sembrano preoccuparsene poco, sono molto più attente a come tenere le braccia, come spostare il baricentro.
«Qui le possibilità di fare sport sono poche in generale per i giovani e in particolare per le ragazze - spiega Ritta Abu Rahma, all' agenzia Reuters - Molte persone pensano che quello che facciamo non va bene, che pratichiamo un' attività che non rispetta i costumi e le tradizioni, ma per me non è un problema, per la mia famiglia e per i miei amici quello che faccio va bene, è normale. E mi sostengono. I ragazzi e le ragazze hanno il diritto di praticare lo sport che vogliono e per quanto mi riguarda, praticare la boxe non toglie niente alla mia femminilità».
Al contrario, dicono le pugili di Gaza, nascere, crescere e vivere nella Striscia rende particolarmente idonei al pugilato. Hamas al governo, Le forze israeliane intorno, la disoccupazione al 50 per cento, con picchi del 65 per cento tra i giovani, l' 85 per cento della popolazione che vive sotto la soglia di povertà: imparare ad attaccare, a difendersi o a schivare i colpi sono gesti quotidiani. «La boxe mi ha insegnato a liberare le cattive energie, a difendermi se sono attaccata.
Quello che voglio è diventare una pugile famosa e alzare la bandiera della Palestina in una competizione internazionale» spiega parlando alla velocità della luce Hala Ayoub, 15 anni. All' allenatore le analisi sociologiche interessano poco. Quello a cui pensa è il campionato in Kuwait, a febbraio. «Speriamo che ci daranno l' autorizzazione per uscire» dice quasi tra sé e sé. E' molto orgoglioso delle sue ragazze e si vede. Negli ultimi sei mesi il numero delle pugili di Gaza è più che raddoppiato: erano 18 prima dell' estate e venerdì, per il loro primo torneo, erano 45. Gli allenamenti, esterni, sulla spiaggia, nei giardini, hanno reso popolare questa squadra che di solito si allena in una palestra molto spartana, nel seminterrato di un palazzo grigio.
IL COVID Poi è arrivato il Covid: i contagi sono meno di mille, tutti in quarantena in centri speciali, finora nessun decesso, ma le misure di precauzione sono abbastanza severe.
«Abbiamo deciso che non potevano più allenarci nel nostro club, perché è uno spazio esiguo, chiuso, dove il virus potrebbe diffondersi molto velocemente. Allora, per non fermarci, abbiamo deciso che ci saremmo allenate fuori, in città», racconta Malak Mesleh, anche lei 15 anni, guantoni e coda di cavallo, davanti alle telecamere.
«Gli allenamenti fuori ci hanno reso un po' famosi sorride l' allenatore Molte famiglie sono venute a chiedermi informazioni. Potrebbero iscriversi ancora nuove ragazze. In fondo, le donne rappresentano la metà dei due milioni di abitanti della Striscia...».
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