Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa”
RICCARDO FUZIO SERGIO MATTARELLA
Le autosospensioni erano l'antipasto. Lo scandalo che travolge il Csm e la scelta di tenerlo in vita provoca equilibrismi giuridici in serie. Tre solo ieri. Il primo: Fuzio non lascia, ma annuncia un pensionamento post-datato. Dunque per altri cinque mesi resta procuratore generale della Cassazione e membro del Csm, invocando dubbie ragioni di salute pubblica. In realtà entrambi i ruoli avrebbero sopportato la sua assenza senza deficit funzionale.
Invece la sua permanenza, ancorché in un limbo, crea non pochi imbarazzi. Ai colleghi della Procura generale che, in ipotesi, volessero valutare la sua posizione dal punto di vista disciplinare. E allo stesso Csm, per ogni decisione su argomenti e persone di cui e con cui Fuzio parlava nelle conversazioni captate.
Il secondo riguarda l'avvio dell' azione disciplinare nei confronti di Cosimo Ferri per comportamenti compiuti durante il mandato di parlamentare della Repubblica, con tutto ciò che ne consegue in termini di guarentigie costituzionali, già peraltro sollevate sulle intercettazioni che lo riguardano.
Il terzo è il prodotto della strategia difensiva di Luca Palamara, con le istanze di ricusazioni dei componenti della sezione disciplinare che deve giudicarlo sull' incolpazione promossa dallo stesso Fuzio. Tra dimissioni, astensioni (Cascini) e ricusazioni (Ardita), il Csm non era in grado di costituire il collegio.
Per superare lo stallo, il vicepresidente David Ermini ha nominato Alessandra Dal Moro, «con un' interpretazione costituzionalmente orientata della legge istitutiva del Csm». Ma così la sezione disciplinare diventa priva di un pubblico ministero. Il che pare contrastare con una sentenza della Corte costituzionale che prescrive per ogni sezione del Csm la presenza «di tutte le categorie» di magistrati eletti, quindi anche dei pm. Inevitabili ricorsi e polemiche. E buoni argomenti per chi sostiene la delegittimazione del Csm azzoppato.