Carlo Vulpio per il "Corriere della Sera"
È un classico della giustizia italiana: paga chi non c'entra nulla, e pazienza se i reati per i quali paga chi è innocente continuano a essere commessi tutti i giorni sotto gli occhi di tutti. Meno di un mese fa, il gip di Foggia, Margherita Grippo, con una ordinanza di 117 pagine aveva accolto le conclusioni dell'inchiesta «Terra Rossa» condotta dalla Procura dauna in materia di caporalato, l'odioso sfruttamento del lavoro attraverso la intermediazione illegale di manodopera.
Aveva sostenuto, il gip, che tra le sedici persone indagate (cinque agli arresti) e le dieci aziende agricole sottoposte a controllo giudiziario, meritasse la misura cautelare dell'obbligo di dimora anche l'imprenditrice agricola Rosalba Livrerio Bisceglia. Dello schiavismo nei campi tutti sanno tutto da sempre, quindi nessuno può più simulare «orrore» e «stupore», ma è stato subito chiaro che in questo caso l'inchiesta ha fatto notizia proprio per il coinvolgimento di Rosalba Livrerio Bisceglia.
Non soltanto perché la signora appartiene a una storica famiglia di imprenditori agricoli, ma anche e soprattutto perché è la moglie di Michele Di Bari, capo dipartimento Immigrazione e libertà civili del ministero dell'Interno. Il prefetto Di Bari, appena ha appreso che la moglie era indagata con l'accusa di aver trattato direttamente con i caporali si è dimesso. Di Bari è stato prefetto vicario a Foggia per otto anni e da poco era diventato dirigente del dipartimento Immigrazione.
Il fatto che sua moglie fosse accusata di aver sfruttato i braccianti neri in combutta con i caporali - come racconta l'ordinanza del gip - lo ha fatto apparire come Dracula alla guida della Croce rossa. Ieri sera però, dopo l'interrogatorio della «moglie del prefetto» davanti allo stesso gip Grippo, il «contrordine compagni»: poiché Rosalba Livrerio Bisceglia, come riferisce in una nota il suo avvocato Gianluca Ursitti, «ha chiarito la propria posizione anche attraverso la produzione di documenti», le misure cautelari nei suoi confronti sono state revocate.
In altri termini, tra intercettazioni «inequivocabili» e ricostruzioni «inoppugnabili» contenute in 117 pagine di ordinanza è stato procurato un danno enorme a due persone, l'una accusata di reati infamanti e l'altra praticamente costretta a dimettersi per la carica pubblica ricoperta. Quando invece, dice sempre il difensore dell'imprenditrice, tutti i pagamenti ai braccianti sono avvenuti con bonifico e nel rispetto dei contratti di lavoro provinciale e nazionale. Domanda: ma verificare tutto questo «prima»? No?
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