Estratto dell'articolo di Laura Tedesco per www.corriere.it
«Mamma portatemi via..Mi hanno torturato, portatemi via per favore... Lui non è un mio amico...». È grazie a questa disperata richiesta d’aiuto inviata «in diretta» su Whatsapp alla madre, che sono scattati i soccorsi per il ventenne rapito e torturato dalla baby gang veronese che aveva «osato» denunciare due volte alla polizia, l’ormai famigerata «Qbr» con base nel Quartiere Borgo Roma.
IL MESSAGGIO E LA GEOLOCALIZZAZIONE DELLA SALVEZZA
Un incubo durato oltre quattro ore, dalle 20 di martedì 29 agosto fino a […] dieci minuti dopo la mezzanotte[…]ì la giovane vittima di origini indiane, che quand’era minorenne aveva fatto parte della stessa baby gang […] per poi trovare il coraggio di dissociarsi e collaborare con la Questura scaligera, rivela com’è provvidenzialmente riuscita a dare l’allarme: «Ho approfittato di un loro momento di distrazione e alle 00.10 ho sbloccato il cellulare in modalità aerea e chiamato subito mia madre... […]».grazie a quell’sos e alla localizzazione in tempo reale della vittima, sono giunti in una manciata di minuti sul posto prima una pattuglia della polizia e subito dopo, angosciata per le sorti del figlio, la madre del ventenne.
I due sono legatissimi, una vicinanza che i cinque arrestati avevano capito al punto da minacciare il giovane di farle del male, addirittura di violentarla. È lui stesso a raccontarlo: «Mi dicevano “ratto, ecco quello che succede agli infami, dopo vado da tua mamma... me la ...e mi faccio dare 50mila euro, adesso per colpa sono indagato dalla polizia”». L’imperdonabile «colpa» del ventenne […] era duplice: non solo essersi sfilato dagli ex sodali ed ex complici di crimini giovanili ma anche, come se non bastasse, aver sporto per due volte denuncia contro i suoi ex amici, nel 2022 per essere stato sequestrato, nel 2023 perché volevano estorcergli soldi dopo un incidente.
I CINQUE ACCUSATI SI TROVANO IN CARCERE
Adesso, in carcere, sono finiti il veronese di 23 anni Alessandro Di Franco e altri quattro giovani italiani di seconda generazione, il 24enne di Negrar Frimpong Samuel Benemah, il 29enne Douglas Savi Maykon, il 18enne Rayen Sakaama, il 30enne Adailson de Noite Polucena detto Chris, tutti residenti in città. Oggi, davanti alla gip Maria Cecilia Vitolla, si terranno gli interrogatori, ma non per tutti: due sono infatti risultati positivi al Covid […]
LE VIOLENZE E LE MINACCE: POI LA LIBERAZIONE
[…] la vittima, […] ha avuto il coraggio di sporgere denuncia nonostante uno degli aguzzini gli avesse intimato «Ti do fiducia, non andare dalla polizia altrimenti ti ammazzo». Una testimonianza raccapricciante, quella del ventenne a cui sono state poi diagnosticate al pronto soccorso «policontusioni diffuse agli arti, al tronco e ai glutei da percosse, ematomi e contusioni, abrasioni e lesioni giudicate guaribili in giorni quindici». I suoi ricordi sono agghiaccianti: «Ho capito subito di essere in pericolo e ho chiamato mia madre in vivavoce, ho fatto in tempo a dire “Mamma mamma mamma” ma poi un ragazzo mi ha colpito al volto, mi ha messo la mano sulla bocca, mi toglieva il telefono e con violenza mi trascinava fuori dall’auto, mi colpiva con una manata, mi spostava di peso...».
IL BRUTALE PESTAGGIO E GLI AGHI DENTRO LE UNGHIE
I sequestratori erano ben motorizzati, «una Mercedes cabrio di colore grigio con capote nera e una jeep di colore nera tipo Land Rover», e dopo averlo «caricato a forza sui sedili posteriori, mi hanno trasportato in aperta campagna». Lì, lontano da testimoni, si è consumato il crudele pestaggio: «Mi hanno costretto a denudarmi, tranne le mutande, mi hanno infilato più volte un ago dentro le unghie...legato le mani, fatto alzare e camminare per 200 metri per poi farmi inginocchiare cominciando a colpirmi con diversi oggetti, fruste in pelle, mazze da legno, sassi...
Scoppiavo in lacrime e venivo colpito continuamente con violenza su glutei, schiena, gambe, mani, braccia, piedi, a turno...Dopo circa un’ora e mezza in cui ricevevo continuamente queste violenze, venivo obbligato a salire sui sedili posteriori della Mercedes e riportato nella piazzetta del Quartiere Saval ridandomi il telefonino e minacciandomi di ammazzarmi se fossi andato alla polizia». […]